La normativa in materia di privacy e lo Statuto dei lavoratori non rappresentano un impedimento alle indagini per accertare casi sospetti di assenteismo da lavoro, poiché proprio queste normative circoscrivono limiti e possibilità di intervento.
Il Garante per il trattamento dei dati personali ha dichiarato che l’utilizzo da parte di un datore di lavoro di informazioni raccolte da un investigatore privato è legittimo se serve a “far valere un proprio diritto in sede giudiziaria” ed è “lecito anche senza il consenso dell’interessato”.
Il Garante ha emesso il 29 novembre 2000 il decalogo sulla videosorveglianza che ribadisce la necessità di rispettare norme e garanzie previste dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, relativo al divieto “dell’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive, ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali”.
Da rilevare che con provvedimento del 21 novembre 2001 in merito al ricorso che verteva sulla verifica della “liceità di una complessa operazione di investigazione, condotta da un’agenzia di investigazioni autorizzata, al fine di verificare eventuali comportamenti illeciti o non corretti ascrivibili a lavoratori addetti al servizio di esazione autostradale”, il Garante della privacy ha stabilito che “la complessiva operazione di trattamento svolta non risulta in contrasto con il disposto della Legge n. 675” in quanto svolta “dal titolare per soddisfare una legittima esigenza di far valere i propri diritti, anche ai fini della loro tutela in sede giudiziaria, acquisendo materiale probatorio per concretizzare specifici addebiti disciplinari che hanno portato, fra l’altro, al recente licenziamento degli interessati medesimi”.
Con la sentenza n. 6174/19 del 01/03/2019, la Corte di Cassazione stabilisce quali sono le regole che il datore di lavoro e l’investigatore privato sono tenuti a rispettare per non incappare nella violazione della privacy.
Come accennato precedentemente, in materia di lavoro dipendente costituisce caposaldo dell’ordinamento giuridico italiano, il divieto di effettuare controlli a distanza sull’attività del lavoratore. A stabilirlo è appunto l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
Come si pone, in quest’ottica, l’attività investigativa svolta da un detective privato incaricato dal legale rappresentante dell’azienda affinché verifichi le attività di un dipendente durante l’orario di lavoro e al di fuori di esso?
L’investigatore privato può accertare se un dipendente inviato in trasferta stia effettivamente svolgendo il proprio lavoro, oppure utilizzi l’auto aziendale per altre sue esigenze?
Può indagare se un dipendente in stato di malattia, svolge in realtà, durante questo periodo, un secondo lavoro?
Può documentare se un dipendente assente dal lavoro in seguito a un permesso concesso ai sensi della Legge 104, è in realtà affaccendato in attività che nulla lasciano presumere un’assistenza alla persona la quale gode dei diritti riservatigli per l’appunto dalla Legge 104 stessa?
Ebbene, formulando alcuni semplici principi, analogamente già espressi in altre sentenze, la Cassazione ha dichiarato legittimi i controlli delegati all’agenzia investigativa, ma solo se effettuati in luoghi pubblici e per fatti estranei alla prestazione lavorativa. Analizziamo meglio cosa significa.
Abbiamo anticipato che lo Statuto dei lavoratori vieta l’utilizzo di impianti audiovisivi e di altri strumenti che possano comportare il controllo a distanza dell’attività lavorativa. Se però questi servono per la sicurezza del lavoro (si pensi alle telecamere di sorveglianza all’interno di una banca o di un ufficio postale, per prevenire il rischio di rapinatori) e per la tutela del patrimonio aziendale (si pensi alla videosorveglianza in un ipermercato per evitare il taccheggio), tali controlli possono essere effettuati solo previo accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, con l’Ispettorato del lavoro.
Lo scopo perseguito dalla legge è molto chiaro: i controlli non possono essere finalizzati alla verifica della prestazione lavorativa dei dipendenti (ossia ad accertare quanto e come stanno lavorando, il ché finirebbe per lederne la privacy), ma a contrastare illeciti (di terzi o degli stessi dipendenti) ai danni dell’azienda o dei clienti oppure a prevenire altri eventi pericolosi (si pensi a una telecamera puntata a ridosso di un macchinario pericoloso). In via del tutto eccezionale, la norma consente i controlli – senza bisogno dell’accordo coi sindacati – sugli strumenti utilizzati dal lavoratore per svolgere la propria prestazione lavorativa (ad es. cellulari, computer e tablet aziendali) e sugli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze (i cosiddetti badge o timbra presenze).
Se è vero, dunque, che il datore di lavoro non può mai controllare il dipendente mentre sta lavorando e ha il divieto categorico di verificare se esegue correttamente le mansioni assegnategli, è anche vero però che può farlo alla fine dell’orario di servizio. In tal caso, infatti, l’attività dell’investigatore privato non si risolve in un controllo sulla prestazione lavorativa e sull’efficienza dello stesso, ma su comportamenti esterni che potrebbero ugualmente danneggiare l’azienda.
Si pensi al dipendente in malattia che, in realtà, svolge un altro lavoro (recentente mi è capitato di documentare un lavoratore dipendente il quale durante lo stato di malattia stava restaurando il tetto della propria casa al mare); o a quello che usa i permessi della Legge 104 per scopi diversi dall’assistenza (durante le scorse vacanze natalizie, mi è capitato di documentare una lavoratrice dipendente la quale nell’arco di venti giorni ha usufruito di tre permessi concessi ai sensi della Legge 104 al fine di prestare assistenza al padre, il quale però al contempo si era recato a trascorrere le vacanze natalizie e di fine anno a New York insieme ad altre persone).
Dunque, i controlli dell’agenzia investigativa sono legittimi e non violano la privacy del dipendente solo se:
effettuati in luoghi pubblici, ossia né in azienda né all’interno della dimora del lavoratore (ove sussiste il divieto di interferenze nella vita privata);
riguardano fatti estranei alla prestazione lavorativa: pertanto è vietata l’indagine nei confronti di un dipendente in trasferta se eseguita per verificare come si comporta con i clienti e i fornitori; è lecita invece se eseguita al fine di accertare se questi sta davvero svolgendo i compiti che gli sono stati impartiti dal datore di lavoro.
L’investigatore privato non viola la privacy dei dipendenti se l’indagine mira a controllare chi va via prima dell’orario di chiusura e dove si reca. L’indagine nei confronti del lavoratore che non rispetta i propri turni e abbandona il posto di lavoro anzitempo è lecita.
Alla luce di ciò, dice la Cassazione, è legittimo il licenziamento in tronco di un dipendente per essersi ripetutamente allontanato dall’ufficio durante l’orario di servizio senza timbrare il badge in uscita e facendo così risultare la regolare presenza in servizio.
Le indagini svolte dall’investigatore privato avvengono infatti in un luogo pubblico (la strada) e sono finalizzate alla verifica di “fatti estranei alla prestazione lavorativa”.
Quanto alla legittimità dell’attività svolta dall’agenzia investigativa, la Cassazione ha ricordato che i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore di lavoro; non possono invece avere a oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa in ragione del divieto previsto dallo Statuto dei lavoratori.
Luca D’Agostini
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