Di norma una notizia non dovrebbe essere altro che il riflesso di un fatto, perché è il fatto che crea la notizia.
Ciò che purtroppo spesso accade, è l'esatto opposto: è la notizia che crea una realtà indipendentemente dal fatto, dalla verità.
Il fatto che i giornalisti dei media mainstream in alcune circostanze mentano e tradiscano il proprio pubblico, mostra come le redazioni siano al servizio dell'establishment e mette in luce la natura di un inganno inquietante, di cui sono vittima i media e i cittadini: quello delle notizie falsificate a tavolino a scopi propagandistici dagli spin doctor, moderni stregoni dell'informazione al servizio dei loro referenti politici.
In questo articolo mi soffermerò sulla strage di Timisoara, in Romania.
Gli eventi di Timisoara furono il colpo di avvio della rivoluzione rumena, quando le prime manifestazioni di solidarietà con il pastore protestante László Tőkés, minacciato di deportazione dalla Securitate iniziarono a prendere ampiezza.
Dal sabato 16 dicembre 1989, iniziarono ad avvampare i primi slogan "abbasso Ceausescu!"
Il 17 dicembre ci furono scontri tra la folla e le forze dell'ordine con spari sui manifestanti per ordine di Ceausescu stesso. Per la cronaca, successivamente si venne a conoscenza che in tutto, nei disordini di piazza del dicembre 1989 a Timisoara ci furono 72 morti e 253 feriti.
Invece questi numeri, seppur drammatici, non vennero riportati.
Il 17 dicembre 1989, iniziò una vergognosa manipolazione della realtà: da quel giorno le notizie sulla strage causata dal regime di Ceausescu rimbalzarono di agenzia in agenzia, raggiungendo in breve tempo tutte le redazioni del pianeta. I racconti furono minuziosi nei dettagli, precisi nei bilanci: 4.632 morti (e non 72), secondo le notizie diffuse da Radio Free Europe, emittente diretta e gestita da una fondazione dello speculatore russofobo George Soros. La minuziosità dei dettagli faceva intendere che quel numero di morti così preciso fosse stato contato uno ad uno.
Il massacro di Timisoara fu mostrato di continuo dalle televisioni e raccontato nei dettagli sulle pagine dei maggiori quotidiani.
In Italia, il "Corriere della Sera" scriveva: "Abbiamo assistito alla battaglia di Timisoara, la maggiore battaglia urbana dal dopoguerra, abbiamo assistito a episodi di tortura, la repressione ha provocato migliaia di morti".
Il quotidiano "L'Unità" scriveva: "Quattromilacinquecento cadaveri irriconoscibili, mutilati, mani e piedi tagliati, con le unghie strappate".
Il quotidiano "La Stampa" scriveva: "Migliaia di cadaveri nudi legati col filo spinato, donne sventrate e bambini trucidati".
Le immagini delle fosse comuni fecero rabbrividire l'opinione pubblica mondiale: in pochi però notarono che i corpi in questione erano in uno stato troppo avanzato di decomposizione, che erano stati tagliati e ricuciti grossolanamente.
In seguito emerse che quei corpi provenivano da un cimitero dei poveri: non c'era stata alcuna tortura, ma si trattava semplicemente di autopsie.
Così, Sergio Stingo e Michele Gambino, due giornalisti italiani recatisi autonomamente sul posto e quindi a proprie spese, in quanto non inviati da alcuna redazione, raggiunsero il cimitero dei poveri e chiesero al custode spiegazione riguardo quei corpi. Il custode spiegò: "Sono corpi di vagabondi, barboni, ubriaconi, derelitti. Questo è il cimitero dei poveri. Non c'è stata alcuna tortura, i defunti vengono regolarmente sottoposti ad autopsia. Per questo motivo i cadaveri sono tagliati dal mento all'addome, e ricuciti. I corpi erano stati disseppelliti, illuminati, fotografati, ripresi dalle telecamere. Io l'ho detto spesso anche ad altri giornalisti. Ma nessuno mi crede!".
Poco tempo dopo i due giornalisti italiani raccontarono: "Al nostro ritorno in Italia confrontammo ciò che avevamo visto con quello che avevano scritto i giornali e avemmo la buffa impressione di essere stati da qualche altra parte".
Disseppelliti, messi in pasto ai media di mezzo mondo, i quali crearono un evento mediatico che soppiantò la realtà.
La deriva sulla carneficina raggiungerà il suo apice il 22 dicembre 1989 quando, dopo l'arrivo delle prime televisioni straniere a Timisoara, le immagini di una quindicina di vecchi cadaveri del cimitero dei poveri della città, tra i quali corpi legati con un filo di ferro attorno ai piedi, una bambina sul ventre di sua madre, fecero il giro di mondo, accreditando inizialmente questa menzogna.
Il giornalista francese di origine rumena Marc Semo, raccontò: "Fui fra i primi giornalisti occidentali ad entrare nella città e così sono stato testimone e vittima di questa esaltazione mediatica. Mio malgrado! Nell'articolo inviato a caldo a «Liberation» raccontavo la triste festa di una città martirizzata e infine liberata ma sempre sotto choc e feci solo un breve accenno ai cadaveri del cimitero, convinto che ci fossero certamente molte vittime ma che non si trattava della carneficina che tutti cercavano. A Parigi, il mio direttore di redazione fidandosi appieno delle immagini dei cadaveri che passavano nel circuito delle reti televisive aggiunse all'inizio del mio articolo, come se io sguazzassi in mezzo ai corpi, la descrizione di un'immensa carneficina con i suoi circa 5 mila cadaveri. Ritornerò su questo derapage del mio giornale. Ma prima vorrei analizzare come questa menzogna o questa manipolazione abbiano potuto prendere corpo e come tutti i grandi mass- media abbiano potuto essere così esagerati. L'idea, per farla molto semplice, sarebbe stata quella di amplificare il numero di morti a Timisoara, con il mero scopo di indurre il resto della popolazione rumena a rivoltarsi contro il regime".
Colette Breckman, inviata del quotidiano francese "Le Soir", dichiarò: "A Timisoara non ho trovato nessuna fossa comune e nessuna prova di tortura, ma nessuno poteva dimenticare quei corpi orribilmente torturati. La televisione aveva fatto vedere tutto ciò e se la TV l'ha mostrato, vuol dire che è vero. Anzi, diventa vero. Allora io, che a Timisoara non avevo visto niente, ho preferito tacere".
Come ha ben sintetizzato il filosofo italiano Giorgio Agamben: "Per la prima volta nella storia dell'umanità, dei cadaveri appena sepolti o allineati sui tavoli degli obitori sono stati dissepolti in fretta e torturati per simulare davanti alle telecamere il genocidio che doveva legittimare il nuovo regime. Ciò che tutto il mondo vedeva in diretta come la verità vera sugli schermi televisivi, era l'assoluta non-verità; e, benché la falsificazione fosse a tratti evidente, essa era tuttavia autentificata come vera dal sistema mondiale dei media, perché fosse chiaro che il vero non era ormai che un momento del movimento necessario del falso. Così verità e falsità diventavano indiscernibili. Timisoara rappresenta l'Auschwitz della società dello spettacolo: e come è stato detto che, dopo Auschwitz, è impossibile scrivere e pensare come prima, così, dopo Timisoara, non sarà più possibile guardare uno schermo televisivo nello stesso modo".
Così, mentre negli stessi giorni gli Stati Uniti erano impegnati nell'invasione di Panama, il mondo intero aveva gli occhi puntati su Timisoara, o meglio su ciò che era stato costruito su Timisoara; erano sempre di più i giornalisti che si chiedevano che fine avessero fatto le fosse comuni e tutti i corpi trucidati dagli uomini della Securitate, i conti non tornavano.
Si scoprì perfino che la bambina ritrovata sul corpo della presunta madre si chiamava Christina Steleac ed era morta per una congestione il 9 dicembre 1989 e che la donna spacciata quale madre, Zamfira Baintan, era un'alcolizzata morta di cirrosi epatica l'8 novembre 1989.
Nessuna tortura. Alcuni giornali parlarono di un falso massacro, ma la smentita non raggiunse mai i grandi organi di informazione.
Così, senza alcuna fondatezza le migliaia di morti di Ceausescu divennero storia e ciò che restò furono le immagini dei corpi senza vita nella coscienza dei telespettatori.
Una "realtà" costruita a tavolino.
Luca Leonardo D’Agostini
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