La Corte di Cassazione, con una sua ultimissima pronuncia - l’Ordinanza della Sesta/1 Sezione Civile, la nr. 12794 del 13 maggio 2021 - ha ribadito l’importanza e la centralità della valenza probatoria delle “riproduzioni informatiche” di cui all’art. 2712 del Codice civile, affermando come “il disconoscimento, idoneo a far perdere la qualità di «piena prova» (delle riproduzioni informatiche depositate agli atti del processo) degradandole a presunzioni semplici, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta”.
Sono quindi “inefficaci” continua l’Ordinanza in nota, i semplici richiami, operati da una delle parti, ai propri scritti difensivi nei quali “smentiva” come, quanto rappresentato nella documentazione, corrispondesse alla realtà dei fatti in essa descritta.
Viene così confermata la centralità - nella dimostrazione dell’esistenza di una realtà fattuale ai fini istruttori - del deposito nel processo della famiglia delle “riproduzioni informatiche” siano esse costituite da foto, SMS, da messaggi e-mail o da messaggi di WhatsApp: ciò in quanto, elementi tecnologici sussumibili al più generale concetto delle “riproduzioni” e/o delle “rappresentazioni” previste dal Codice Civile, nel regolare la specifica materia con il disposto di cui all’art. 2712.
E’ quindi la legge civile che riconosce, queste, come aventi valore di “piena prova dei fatti e delle cose rappresentate” a maggior ragione quando, come nel caso di specie, i giudici del merito abbiano fondato il loro convincimento su degli ulteriori elementi, costituiti dalla confessione stragiudiziale del ricorrente e sulle prove testi, assunte durante l’istruttoria, che hanno confermato la realtà già rappresentata dalle “riproduzioni” della messaggistica per come depositate.
Nel caso de quo, le contestazioni svolte con il Ricorso alla Suprema Corte non hanno colto nel segno, non avendo raggiunto, il disconoscimento per come formulato, il requisito di legge.
La contestazione per come svolta è infatti apparsa “del tutto generica e carente di autosufficienza: infatti sono inammissibili per violazione dell’art. 366 nr. 6 del codice di rito, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito, qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione (..) al fine di renderne possibile l’esame”.
Il rigetto del ricorso porta alla condanna della parte ricorrente alle spese del giudizio ed all’onere del versamento del doppio costo del contributo unificato.
Avv. Giorgio Vaccaro
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