In questo articolo cercherò di fornire un quadro di insieme delle chiavi di lettura riferite al rapporto tra attività investigative e privacy, che non potranno mai sostituire la lettura diretta della normativa, che deve restare riferimento primo per la corretta adozione delle misure da essa imposte.
L’art. 21 del decreto legislativo n. 101/2018, dando attuazione a quanto previsto dalle disposizioni del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, dopo aver abrogato le autorizzazioni generali che erano già state adottate in precedenza dal Garante privacy, ha affidato al Garante privacy stesso il compito di individuare, con proprio provvedimento di carattere generale, le prescrizioni contenute in dette autorizzazioni generali relative alle situazioni di trattamento dei dati personali.
Al fine di fornire concreta applicazione al suddetto articolo 21 del decreto legislativo n. 101/2018, il Garante privacy ha adottato il provvedimento n. 145 del 5 giugno 2019, il quale reca appunto le prescrizioni relative ad alcune delle situazioni di trattamento dei dati. In particolare, nel presente articolo della rivista mi soffermerò sulle prescrizioni relative al trattamento di categorie particolari di dati da parte degli investigatori privati (già oggetto della autorizzazione generale del Garante privacy n. 6/2016).
Il primo aspetto preso in considerazione dal provvedimento del Garante ha ad oggetto l’ambito di applicazione delle suddette prescrizioni.
In particolare, il provvedimento stabilisce che le “prescrizioni in esso contenute si applicano alle persone fisiche e giuridiche, agli istituti, agli enti, alle associazioni e agli organismi che esercitano un’attività di investigazione privata in virtù della apposita licenza rilasciata, ai sensi di legge, dal prefetto”.
Come si vede, quindi, le prescrizioni sono rivolte a qualsiasi soggetto che svolga in maniera legittima e regolare l’attività professionale di investigatore privato.
Il secondo aspetto di cui si occupa il provvedimento del Garante riguarda le finalità del trattamento. In particolare, viene previsto che i soggetti aventi la qualifica di investigatore privato (secondo il requisito della licenza di cui sopra) possono trattare le categorie particolari di dati personali individuate dall’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento europeo (GDPR) soltanto al fine di svolgere l’incarico che essi abbiano ricevuto dai propri clienti.
Nello specifico, il provvedimento chiarisce che all’interno di tale finalità, cioè lo svolgimento del proprio incarico, rientrano le seguenti due ipotesi:
quella di permettere a coloro i quali hanno conferito l’incarico specifico all’investigatore privato, di far accertare, esercitare oppure difendere un proprio diritto in sede giudiziaria; con riferimento a tale ipotesi, poi, il provvedimento precisa che, nel caso in cui si tratti di dati genetici, di dati relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona, il diritto che si vuole difendere giudizialmente deve essere di rango pari a quello del soggetto al quale si riferiscono i dati, cioè deve trattarsi di un diritto della personalità o di un altro diritto o libertà fondamentale;
quella di ricercare e di individuare degli elementi a favore dell’assistito, che dovranno essere utilizzati soltanto per esercitare il diritto alla prova nel processo penale, nel caso in cui l’incarico all’investigatore privato fosse conferito da un difensore (avvocato) in relazione ad un procedimento penale in essere nei confronti di un proprio assistito.
Per quanto riguarda le prescrizioni specifiche previste dal provvedimento del Garante con riferimento alle categorie particolari di dati trattati dagli investigatori privati, viene in primo luogo vietato agli investigatori privati di intraprendere, di propria iniziativa, investigazioni, ricerche o altre forme di raccolta di dati.
Essi, invece, possono svolgere tali attività soltanto nel caso in cui sussista un apposito e specifico incarico che sia stato loro conferito, per iscritto, da un proprio cliente o da un avvocato che difende il proprio assistito e soltanto per raggiungere le finalità di cui si è detto sopra.
Ciò significa, quindi, che gli investigatori privati non hanno dei veri e propri compiti ispettivi, ma soltanto dei compiti esecutivi rispetto a indagini il cui oggetto ed obiettivo devono essere loro indicati dal cliente o da un avvocato che svolge attività difensive per un proprio assistito.
In secondo luogo, viene stabilito che all’interno dell’incarico ricevuto dall’investigatore privato deve essere indicato in maniera specifica quale sia il diritto che il cliente intende far valere in sede giudiziaria oppure quale sia il procedimento penale per il quale è stato richiesto all’investigatore privato di svolgere le investigazioni, nonché quali siano i principali elementi di fatto che giustificano l’investigazione e l’indicazione del termine, ragionevole, in cui questa deve essere conclusa.
Viene, poi, previsto che l’investigatore privato debba fornire all’interessato (soggetto investigato) informativa privacy prevista dal Regolamento europeo. Logicamente, chiedere alla persona oggetto di indagini di prendere atto dell’informativa privacy vorrebbe dire avvisarla del fatto che si stanno svolgendo indagini su di essa.
Quindi il D. Lgs. 196/2003 all’art. 24, comma 1, lettere c), f) e g), all’art. 26 (Garanzie per i dati sensibili) comma 4 lettera c), e art. 43 (Trasferimenti consentiti in paesi terzi) comma 1 lettera b) e f) prevede i casi nei quali può essere effettuato il trattamento senza il consenso dell’interessato.
In pratica, l’investigatore privato non deve comunicare l’informativa privacy all’interessato (soggetto investigato) qualora ottenga i dati personali da soggetti terzi, diversi dall’interessato (cliente, avvocato, banche dati e ricerca e raccolta informazioni), e fornire l’informativa a quest’ultimo rischia di rendere impossibile o di pregiudicare in maniera grave l’obiettivo cui è finalizzato il trattamento, cioè la finalità delle indagini.
Inoltre, viene stabilito che l’investigatore privato deve cessare ogni forma di trattamento dei dati nel momento in cui viene conclusa la specifica attività investigativa oggetto di incarico.
L’unica eccezione a tale obbligo riguarda la possibilità di comunicare i dati al difensore o a colui il quale gli ha conferito l’incarico (inoltre questi ultimi possono autorizzare l’investigatore a conservare temporaneamente il materiale strettamente personale dei soggetti che hanno svolto l’attività investigativa, al fine di dimostrare la liceità e la correttezza del proprio operato).
Con riferimento alla comunicazione dei dati, il provvedimento ribadisce che essa possa essere rivolta soltanto al soggetto che ha conferito l’incarico all’investigatore privato.
Per quanto riguarda, invece, i dati genetici, biometrici e relativi alla salute, essi possono essere comunicati alle autorità competenti esclusivamente per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, sempre nel rispetto della disciplina che regola la materia.
Viene, infine, previsto che i dati relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale non possono essere diffusi.
Luca D’Agostini
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