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Strumenti dell’indagine difensiva

Aggiornamento: 17 mag 2022

Con il termine investigazioni difensive vengono indicate tutte quelle attività che, ai sensi del Codice di Procedura Penale, il difensore – dell’indagato, della parte offesa o delle altre parti private interessate dalla vicenda processuale – può compiere al fine di ricercare le fonti e/o acquisire elementi di prova favorevoli al proprio assistito e presentarli al giudice, nel corso del dibattimento o già nella fase delle indagini preliminari, ad esempio per richiedere o contestare l’adozione di un provvedimento cautelare.

La promulgazione nel 1988 del nuovo Codice di Procedura Penale (c.d. “codice Vassalli”), improntato ad un sistema “accusatorio”, nel quale cioè le parti titolari di interessi coinvolti dalla vicenda giudiziaria contribuiscono alle scelte compiute dal giudice mediante poteri, diritti ed oneri a loro attribuiti in maniera paritetica, ha comportato un aumento dell’importanza del ruolo di ricerca della prova da parte del difensore nell’ambito dell’intero processo penale.

Difatti, durante la vigenza del precedente codice di rito risalente al 1930 e di matrice inquisitoria, parte delle attività di acquisizione probatoria venivano esperite oltre che dal pubblico ministero anche dal giudice istruttore, figura soppressa proprio con l’entrata in vigore dell’attuale Codice di Procedura Penale, il quale aveva facoltà di condurre indagini scritte e segrete e di interrogare i testimoni, di modo che il ruolo del difensore dell’imputato si sostanziava principalmente in una contestazione delle prove raccolte dalla pubblica accusa nelle more delle attività d’indagine.

In seguito alla predetta riforma, invece, il ruolo dell’avvocato si è andato sempre più configurando come quello di “parte antagonista” rispetto alla pubblica accusa, dotato, quindi della facoltà di introdurre nell’ambito del procedimento elementi favorevoli al proprio assistito e di ricercare autonomamente le fonti di tali evidenze probatorie, orientando la propria attività professionale al “difendere provando”. Con l’attività di DIMOSTRARE come potrebbe certamente dirsi evocando il nome della presente rivista.

Risulta, poi, opportuno rammentare che esistono tipologie di indagini private che esulano da un processo penale, in quanto precedenti ad esso o finalizzate proprio ad evitarne la successiva instaurazione.

Seppur tale ambito risulta essere di precipua competenza dei professionisti operanti nel campo delle investigazioni private disciplinate dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), a norma dell’articolo 391-nonies della legge 397/2000 – rubricato “attività investigativa preventiva” – anche l’avvocato, che sia stato nominato mediante un mandato con sottoscrizione autenticata e recante l’indicazione dei fatti sui quali si chiede di procedere, può effettuare attività d’indagine preventiva.

A titolo di esempio, un genitore ha diritto di sapere se qualcuno cede sostanza stupefacente al figlio o un imprenditore di assumere informazioni riguardo un soggetto con il quale sta per concludere un affare, al fine di verificarne l’affidabilità.

In questi casi, vi è un bisogno privato di raccogliere informazioni, ponendo in essere una vera e propria attività d’indagine, per poter tutelare propri diritti soggettivi al quale gli apparati dello Stato non sono tenuti a fornire risposta.

Infatti, riconducendoci agli esempi formulati in precedenza, un genitore può presentare presso gli organi di polizia giudiziaria una denuncia, corroborata da specifici elementi di fatto, contro un soggetto ritenuto responsabile di aver spacciato sostanze stupefacenti al proprio figlio - poiché in questo caso porta a conoscenza delle autorità la presunta commissione di un reato - ma certamente non ha la possibilità chiedere formalmente alle forze dell’ordine di verificare se il figlio sia solito acquistarle e/o farne uso.

Parimenti, un imprenditore può portare a conoscenza dell’autorità giudiziaria illeciti perpetrati in proprio danno nell’esercizio della propria attività professionale, ma sicuramente non chiedere agli organi dello Stato di effettuare investigazioni preventive per suo conto sui soggetti con i quali ha intenzione di instaurare rapporti di lavoro. In questi casi, ai sensi dell’art.391 nonies c.p.p., l’avvocato, o l’investigatore privato che lo coadiuva, potrà esperire tutti gli atti propri delle indagini difensive previsti dall’art. 327 bis c.p.p., ad eccezione di quelli che richiedono l’intervento o l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, come il sopralluogo in un luogo privato al quale chi ne ha la disponibilità non concede l’accesso o l’accertamento tecnico irripetibile.

Il d.lgs. numero 196 del 2003 (rubricato Codice della Privacy) contiene deroghe alle disposizioni generali disciplinanti il trattamento dei dati personali, quando questi ultimi sono raccolti nell’ambito di investigazioni difensive penali.

Inoltre nel 2008 il Garante della Privacy ha elaborato un Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive in cui sono contenute indicazioni di dettaglio riguardanti la concreta applicazione della normativa in materia di trattamento dei dati personali nell’ambito di attività afferenti le investigazioni forensi.

Le disposizioni in materia di indagini difensive, oltre a delinearne i principi generali ed individuarne i soggetti legittimati allo svolgimento, contengono un’analitica disciplina delle attività di indagine a disposizione degli avvocati.

Gli strumenti dell’indagine difensiva tipizzati dal legislatore sono:

- L’intervista difensiva. Il più importante strumento a disposizione dell’avvocato nello svolgimento della propria attività d’indagine è costituito dall’intervista di possibili testimoni e/o indagati in procedimento connesso. L’art.391 bis c.p.p. ne delinea tre distinte modalità di acquisizione: il colloquio non documentato, l’assunzione di informazioni da verbalizzare, il rilascio di una dichiarazione scritta da parte dell’intervistato e contiene un nucleo di disposizioni comune a tutte le suddette modalità di esperimento dell’investigazione difensiva.

Innanzitutto, il colloquio informale può essere svolto anche dall’investigatore cui l’avvocato abbia conferito un incarico professionale mentre la ricezione della dichiarazione scritta o l’intervista verbalizzata possono essere effettuate solo dal difensore o dal suo sostituto.

In secondo luogo alcune categorie di persone sono ritenute incompatibili con la qualifica di testimone: il pubblico ministero, il giudice, i loro ausiliari, i difensori e gli ausiliari che abbiano verbalizzato dichiarazioni nel medesimo procedimento.

In ogni caso, il difensore deve sempre rendere edotta la persona alla quale intende rivolgere l’intervista della propria qualità, della facoltà di non rendere alcuna dichiarazione, del divieto sanzionato penalmente di rivelare le domande eventualmente rivoltegli dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria e delle conseguenze penali scaturenti dalla falsa dichiarazione al difensore.

Particolari disposizioni sono previste per l’intervista, di qualsiasi tipo, all’imputato in procedimento collegato o connesso, che deve essere assistito dal proprio difensore, per quella ai minori vittime dei reati di sfruttamento della prostituzione, pedopornografia ed assimilabili, che può avere luogo esclusivamente alla presenza di psicologi o psichiatri infantili, e per l’intervista al detenuto, che può svolgersi solamente dietro autorizzazione del giudice che procede nei confronti della persona ristretta nella sua libertà.

Il colloquio informale è di solito finalizzato a vagliare l’opportunità che un soggetto renda successivamente dichiarazioni verbalizzate. Per tale ragione, può essere effettuato anche dagli ausiliari dal difensore.

Fattispecie distinta dal colloquio informale è, invece, l’attività dell’investigatore privato volta ad individuare le fonti di prova. Tale attività costituisce espressione di libertà costituzionale e sfugge alla disciplina di cui all’art.391 bis c.p.p.

Nella prassi, la principale modalità di effettuazione dell’intervista è l’assunzione di dichiarazioni verbalizzate. In questo caso, il difensore può sia rivolgere domande al teste sia consentirgli una narrazione libera dei fatti. Alla redazione del verbale provvederà lo stesso avvocato o una persona di sua fiducia.

Non è consentito all’indagato, all’offeso o ad altre parti private di assistere all’intervista verbalizzata. Inoltre, nel caso in cui il testimone renda dichiarazioni autoincriminanti il difensore deve immediatamente sospendere l’assunzione di informazioni e le precedenti dichiarazioni non potranno essere utilizzate nei confronti della persona che le ha rese.

Nel caso di ricezione di dichiarazione scritta, l’avvocato che la riceve deve verificare la presenza della sottoscrizione del dichiarante ed autenticarla.

In seguito, egli è tenuto a redigere una relazione indicante: la data in cui la dichiarazione viene ricevuta, le proprie generalità e quelle del dichiarante, i fatti su cui verte la dichiarazione, l’attestazione di aver rivolto al testimone gli avvertimenti previsti dalla normativa disciplinante l’intervista.

Nel caso in cui un testimone o un imputato in procedimento connesso si sottragga all’intervista il difensore può chiedere che venga disposto l’incidente probatorio, anche fuori dai casi di non rinviabilità di cui all’art 392 c.p.p. oppure, solo nei confronti del testimone, chiedere al pubblico ministero di disporne l’audizione, indicando le circostanze sulle quali vuole verta l’escussione del teste e le ragioni che la rendono utile ai fini dell’indagine.

In questo caso, il pubblico ministero, vagliata la richiesta, convoca il testimone. L’esame si svolgerà alla presenza del difensore che per primo formulerà le domande.

L’art.391-quater c.p.p. disciplina la richiesta di documentazione alla Pubblica Amministrazione da parte del difensore.

Si tratta di un atto riservato alla titolarità esclusiva dell’avvocato. Egli, nel caso in cui lo ritenga necessario ai fini dell’indagine, può rivolgere istanza di accesso alla P.A. che ha formato o detiene stabilmente il documento di interesse ed estrarne copia a proprie spese.

L’amministrazione è tenuta ad esibire il documento in quanto utile ai fini dell’esercizio del diritto di difesa in una procedura giudiziaria. In caso di diniego, l’avvocato può rivolgere istanza di sequestro dei documenti al pubblico ministero, il quale può o accoglierla e disporre il sequestro oppure rigettarla e, contestualmente, trasmetterla al G.I.P., motivando il rifiuto.

Quest’ultimo può, ove ritenga di accogliere la richiesta della difesa, disporre autonomamente il sequestro dei documenti presso la Pubblica Amministrazione.

L’accesso ai luoghi. Nel corso delle indagini il difensore può avere necessità di visionare i luoghi o le cose pertinenti al reato al fine di procedere alla descrizione degli stessi o procedere a rilievi tecnici.

Al difensore sono, tuttavia, precluse tutte le attività che comportano un’alterazione dello stato dei luoghi e delle cose.

L’esito positivo del sopralluogo comporta il dovere in capo al difensore di redigere un verbale, sottoscritto dalle persone intervenute, recante: la data e il luogo dell’accesso, le generalità delle persone intervenute e quelle del verbalizzante, la descrizione dello stato delle cose e dei luoghi, l’indicazione degli eventuali rilievi tecnici eseguiti che devono essere allegati all’atto e ne formano parte integrante.

Quando l’accesso riguarda luoghi non aperti al pubblico o privati, l’avvocato deve sollecitare il consenso di chi ne ha la disponibilità. In caso di diniego, il difensore può chiedere l’intervento del giudice, il quale, se ritiene, autorizzerà l’accesso, specificandone le concrete modalità.

Nel corso dell’atto la persona deve essere avvisata della facoltà di farsi assistere da persona di propria fiducia prontamente reperibile, purché non si tratti di soggetto minore di anni quattordici, infermo di mente, persona in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione, soggetto sottoposto a misure di sicurezza o di prevenzione.

In tali casi è obbligatoria l’assistenza di una persona di fiducia.

Con una disposizione di chiusura, il codice di rito stabilisce che al difensore è precluso l’accesso ai luoghi di privata dimora ed alle loro pertinenze, salvo che sia necessario accertare le tracce e gli effetti materiali del reato.

Una delle maggiori innovazioni apportate dalla l.397/2000 è quella di consentire alle parti private sin dall’inizio delle indagini preliminari di esperire accertamenti di carattere tecnico-scientifico senza richiedere al giudice di disporre una perizia.

Difatti, fuori dai casi di accertamenti tecnici irripetibili dei quali si tratterà in seguito, il consulente della parte privata ha facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui si trovano con modalità tali da non alterare l’oggetto irreversibilmente, partecipare, affiancando il difensore, ed intervenire alle ispezioni e alle perquisizioni disposte dal pubblico ministero ed essere autorizzato ad esaminare, sempre senza alterarlo, l’oggetto delle ispezioni alle quali non è intervenuto.

L’art.391-decies c.p.p. disciplina l’accertamento tecnico irripetibile compiuto su iniziativa della difesa.

Nel caso in cui l’avvocato intenda procedere ad un accertamento tecnico non ripetibile deve comunicarlo tempestivamente al pubblico ministero, il quale potrà assistervi unitamente ad un proprio consulente, disporre un proprio accertamento tecnico non ripetibile al quale il consulente della difesa ha facoltà di assistere, formulare richiesta di incidente probatorio.

Il verbale degli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dalla difesa deve essere, al pari di quello afferente gli accertamenti tecnici irripetibili disposti dal pubblico ministero, obbligatoriamente inserito nel fascicolo del dibattimento.

Come è noto, l’evoluzione tecnologica ha investito anche le tecniche e le modalità attraverso le quali vengono ricercati gli elementi di prova nell’ambito di un’attività investigativa, con ovvie ricadute anche sulle indagini difensive.

Difatti, una delle attività oramai espletate abitualmente durante le indagini difensive, ma che è stata al centro di un acceso dibattito e la cui tipizzazione è avvenuta ad opera della giurisprudenza, è quella del c.d. “pedinamento elettronico”.

Con tale termine viene indicata l’operazione investigativa, volta a tracciare gli spostamenti di una persona fisica ovvero di un bene mobile, al pari del pedinamento per così dire classico, avente come caratteristica ulteriore, rispetto a quest’ultimo, l’impiego di strumenti tecnologici estremamente avanzati, che di fatto sostituiscono e rendono più semplice e più celere l’attività di pedinamento e registrazione degli spostamenti.

Nella gran parte dei casi, il pedinamento elettronico si effettua installando in maniera occulta un rilevatore GPS su un bene mobile, precipuamente le autovetture e i motocicli, al fine monitorare in tempo reale gli spostamenti del soggetto che lo ha in uso.

La Corte di Cassazione (sez. V, 15 dicembre 2010), ha affermato che il pedinamento elettronico è un’operazione investigativa non assimilabile alle intercettazioni dal momento che non è finalizzata alla captazione occulta di messaggi o comunicazioni, ma alla verifica della presenza di una persona in un determinato momento.

Di conseguenza, la Corte sostiene la legittimità del tracciamento elettronico in quanto ontologicamente equiparabile al pedinamento fisico e, quindi, rientrante nelle attività esperibili d’iniziativa dalla P.G. senza la preventiva autorizzazione del pubblico ministero.

Anche il tribunale di Udine, in funzione di giudice del riesame, ha annullato un sequestro disposto dalla locale Procura della Repubblica su un rilevatore GPS di proprietà di un investigatore privato per violazione dell’art. 615bis c.p. rubricato “Interferenze illecite nella vita privata”.

Nel caso di specie, il Tribunale ha statuito che non sussisteva la violazione di tale norma da parte dell’investigatore che aveva installato il rilevatore GPS sull’autovettura di un privato cittadino, in quanto la stessa non è qualificabile come luogo di privata dimora e non erano stati utilizzati strumenti di ripresa visiva o sonora al fine di procurarsi notizie o immagini attinenti la vita privata del soggetto coinvolto nell’accertamento (Tribunale di Udine 11 febbraio 2016).

Infine, alla luce del Decreto Ministeriale 1 dicembre 2010 , n. 269 , riguardante gli istituti di vigilanza privata e gli investigatori privati autorizzati, l’uso del GPS è perfettamente lecito.

Tale Decreto Ministeriale, infatti all’art. 5 co. 2, prevede espressamente che “per lo svolgimento delle attività di cui ai punti da a.I) (attività di indagine in ambito privato), a.II) (attività di indagine in ambito aziendale), a.III) (attività d’indagine in ambito commerciale) e a.IV) (attività di indagine in ambito assicurativo), i soggetti autorizzati possono effettuare, tra l’altro, anche a mezzo di propri collaboratori segnalati ex art. 259 del Regolamento d’esecuzione TULPS le attività di osservazione statica e dinamica (c.d. pedinamento) anche a mezzo di strumenti elettronici”.

Sulla base di tali sentenze, il pedinamento elettronico può essere effettuato, al pari di quello “tradizionale” dall’investigatore privato autorizzato nello svolgimento di indagini difensive, fermo restando il gravare in capo a quest’ultimo dell’obbligo di adempiere ad una serie di obblighi burocratici (compilazione registro degli affari, conferimento incarico e notifica al Garante della Privacy) volti a tutelare la riservatezza delle persone coinvolte negli accertamenti.

Nel corso delle indagini preliminari il difensore ha la facoltà, ma non l’obbligo, di produrre al giudice gli atti concernenti le risultanze delle investigazioni difensive da lui effettuate.

Ovviamente, lo farà quando ritiene che tali atti possano indurre il magistrato ad adottare un provvedimento favorevole al proprio assistito.

Egli ha facoltà di presentare gli atti sia al pubblico ministero, sia direttamente al giudice per le indagini preliminari, anche nel caso in cui quest’ultimo debba adottare una decisione che non prevede la partecipazione della parte assistita (es. misura cautelare).

Nel corso delle indagini la documentazione prodotta dal difensore viene acquisita in un apposito fascicolo formato e conservato presso la segreteria del GIP denominato fascicolo del difensore, al quale il pubblico ministero può accedere solamente quando debba essere adottata una decisione, con richiesta delle parti o con il loro intervento.

Al termine dell’udienza preliminare, con il decreto che dispone il giudizio confluiranno nel fascicolo del dibattimento tutta la documentazione relativa agli atti delle investigazioni difensive non ripetibili in dibattimento, che potranno essere ed utilizzati dal giudice.

Gli atti dell’indagine difensiva ripetibili in dibattimento, invece, verranno inseriti nel fascicolo del pubblico ministero e potranno essere adoperati per le contestazioni.

Una delle maggiori innovazioni apportate dalle legge 397 del 2000 è stata quella di disciplinare gli atti dell’indagine difensiva aventi un contenuto tecnico-scientifico. Invero, l’articolo 233 c.p.p. consente al difensore di nominare un consulente tecnico di parte che lo coadiuvi nell’espletamento delle attività d’indagine, in modo tale che non vi sia la necessità di chiedere al giudice di disporre una perizia già nella fase delle indagini preliminari e configurando,in tal modo, un vero e proprio diritto alla “prova scientifica”.

Il consulente tecnico di parte nominato dal difensore potrà, innanzitutto, prendere parte agli accertamenti tecnici non ripetibili disposti dal pubblico ministero, formulando le proprie osservazioni in merito. Inoltre, egli potrà procedere, redigendo un apposito verbale in cui siano esposte tutte le attività compiute, all’ispezione delle cose e dei luoghi.

Per di più, viene concessa al difensore anche la facoltà di procedere ad un accertamento tecnico non ripetibile, con l’obbligo, però di darne tempestiva comunicazione al pubblico ministero, il quale potrà nominare un consulente tecnico dell’ufficio che partecipi anch’egli all’accertamento.

Nell’ambito delle “prove scientifiche” ha assunto notevole importanza la prova digitale. Infatti, gli strumenti tecnologici risultano essere oramai diffusi ed adoperati nella società in tutte le sue componenti, sia in ambito professionale che nelle dinamiche di relazione sociale.

Dato che oramai la quasi totalità delle persone adopera strumenti tecnologici per comunicare con gli altri o per archiviare documenti ed informazioni – sovente portandoli con sé in ogni momento - l’analisi dei files e dei programmi in essi contenuti può risultare fondamentale: si considerino, ad esempio, un’indagine su reati contro la Pubblica Amministrazione in cui i documenti di maggiore rilievo sono memorizzati su supporti informatici o un’investigazione su un omicidio che può essere indirizzata analizzando il computer o lo smartphone di un sospettato, al fine di verificarne l’alibi mediante l’analisi delle sue eventuali attività in rete all’ora della commissione del delitto o di stabilire ove egli si trovasse presumibilmente in quel lasso di tempo.

Ciò ha indotto il legislatore ad approntare nuovi strumenti di acquisizione probatoria specificamente calibrati sui sistemi informatici e ad adeguare i preesistenti mezzi di ricerca della prova (ispezioni, perquisizioni) al loro incentrarsi su strumenti tecnologici e non su persone e/o luoghi fisici. Per tale ragione l’analisi forense dei dati, risulta sempre più utile, specialmente in ambito penalistico.

Luca D’Agostini

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