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Il caso di Colleferro

Prima di consegnare ai benevoli lettori queste mie breve riflessioni, mi fa piacere ringraziare l’amico Luca D’Agostini e la Redazione tutta per questa opportunità.

Le mie saranno riflessioni di un addetto ai lavori senza alcuna pretesa di autorevolezza; saranno le riflessioni di un cittadino che si trova alle prese con fatti di cronaca che ne colpiscono la sensibilità.

Un lettore di giornale, un fruitore di vari servizi in rete catapultato dentro la vicenda e coinvolto dalle mole di informazioni, ricostruzioni, pareri autorevoli ed immagini che fanno dimenticare la tragedia dalla quale quel clamore mediatico ha tratto scaturigine, riducendo tutto alla spettacolarizzazione del processo, consumato in anticipo in rete o in televisione o su qualunque giornale.

In questi giorni la triste vicenda di Colleferro ha colpito la nostra sensibilità: un giovane, solare e generoso, è stato ucciso da un gruppo di amici, gratuitamente e senza alcun motivo.

Credo che concorderemo tutti con questo incipit.

La reazione di indignazione, con le eccezioni di chi per ragioni razziste ha esaltato il gesto, è stata unanime.

Proviamo, ora, a esaminare le reazioni della stampa, dell’informazione così come l’abbiamo vissuta.

Le storie e le vite degli assassini sono state passate al setaccio attraverso le stesse immagini di cui andavano fieri: fisici palestrati, muscoli, tatuaggi, pose da esseri superiori e sprezzanti.

A tali immagini, abbiamo avuto modo di abbinare i commenti dei loro familiari che ne esaltavano alcune qualità così da circoscrivere l’inaudita violenza cui si erano abbandonati ad un atto circoscritto.

Il dolore dei genitori e degli amici del giovane ucciso, con le magliette bianche al funerale, si sono contrapposti a quell’altro mondo.

Abbiamo letto dettagliatamente ogni particolare sulla tecnica di combattimento praticata dagli autori dell’omicidio.

Insomma, lo sdegno per un efferato delitto, si è trasformato nella caccia, pruriginosa in qualche occasione, dell’analisi dell’ambiente in cui vivevano gli assassini e della loro personalità, delle loro relazioni e della loro vita.

Non più la notizia finalizzata alla ricostruzione del fatto, ma le notizie che colpiscono il lettore, la sua immaginazione e lo trascinano in un turbinio di sentimenti che lo conducono, volente o nolente, ad emettere una sentenza di condanna che si sostituisca a quella cui sono deputati i soli giudici dei nostri tribunali.

Non una condanna dell’efferatezza del gesto, ma una condanna del c.d. brodo di cottura del quale gli assassini si sono nutriti.

Il reato e l’affermazione di colpevolezza si consumano nuovamente nei salotti televisivi, nei programmi che si dicono di informazioni, in rete e nelle pagine di Facebook.

Il processo che si terrà nelle forme e con i tempi suoi propri viene svilito, privato della sua sacralità, la funzione degli avvocati e dei giudici sminuzzata nel tritacarne di una spettacolarizzazione dell’evento basata non sull’analisi del fatto, del suo movente, ma della ricerca pruriginosa, mi ripeto, della sensazionalità di un’informazione che mira solo alla vendita del prodotto.

Ed allora cosa fare? Suggerisco di evitare il pre – giudizio.

Ferma la condanna, lo sdegno e l’indignazione per l’omicidio, suggerisco di rinviare ogni giudizio su questa triste vicenda e su tante altre uguali, all’esame che ne faranno i Giudici: le indagini; il capo di imputazione; gli esiti dell’autopsia; l’esame dei testimoni.

Diamo spazio alla giustizia esercitata nei tribunali in nome del popolo italiano, nel rispetto del contraddittorio e non ad una giustizia sensazionalista, esercitata in rete ed in nome del solo popolo della rete o dei giornali o di una televisione sempre più asfittica ed al collasso.

Un anziano Avvocato che ho avuto il piacere di frequentare per molto tempo, in dialetto napoletano mi ammoniva così: “leggiti le carte, tutte, prima di esprimere un parere…” figuriamoci prima di emettere una sentenza e senza averne neppure l’autorità.

A noi solo lo sdegno e l’impegno, perché nella nostra società non si ripetano più questi efferati gesti criminali, agli avvocati difensori di contribuire alla tutela di un diritto costituzionalmente garantito, ai giudici di indagare, giudicare e decidere, ai giornalisti di informare senza volersi sostituire a tutti e tutto.

Avv. Leopoldo Muratori

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