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IL RUOLO DEL PADRE NELLA CRISI CONIUGALE

Con la legge n. 54/2006 è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico l’affidamento condiviso che ha portato all’introduzione del principio della bigenitorialità secondo il quale la prole deve mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, avviando il concetto di responsabilità genitoriale che, così, andrà a ricadere su entrambi i coniugi.

Si ricorda che, prima del 1975, i figli, in caso di separazione, venivano affidati al padre in ossequio al modello di famiglia patriarcale dove il padre era ritenuto l'unico in grado di provvedere alla buona educazione ed istruzione dei figli, alla madre solo in caso di immoralità o poco affetto da parte del padre.

Con la riforma del diritto di famiglia avvenuta nel 1975, veniva introdotto il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, cui si riconoscono gli stessi diritti - da esercitare congiuntamente e di comune accordo - e gli stessi doveri alla fedeltà, all'assistenza, alla collaborazione e alla coabitazione.

Tale parità tra i coniugi si riverbererà, con l'andar del tempo, anche sul ruolo genitoriale fino ad arrivare all'introduzione dell'affido condiviso con L. 54/2006.

Con quest’ultima riforma si perfeziona un modello educativo che riconosce ai figli un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, ma anche di ricevere cure, educazione ed istruzione da entrambi, conservando e coltivando rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun genitore.

Tuttavia, in sede di separazione o di divorzio, si è affermata una prassi giurisprudenziale che, in contraddizione con il dettato normativo, si è arenata al modello del genitore “prevalente”, riconoscendo spesso tale ruolo nella figura materna.

A conferma di tale modus operandi sono molteplici le pronunce della Corte di Cassazione ove si afferma che “il criterio che privilegia la madre nell’individuazione del genitore con il quale i figli in età scolare o prescolare vivranno in via prevalente in ipotesi di separazione può essere superato solo se la donna non possiede le necessarie capacità genitoriali ed educative (18087/2016).

Pertanto, seppur il Legislatore riconosce al padre un ruolo educativo di notevole importanza, si continua a ritenere che nel progetto di crescita dei figli tale compito sia proprio della madre.

Il principio di bigenitorialità viene così svuotato dei suoi contenuti sostanziali, rimettendo alla figura paterna un ruolo residuale e subordinato ad eventuali mancanze dell’altro genitore ed affermando, in contraddizione alla ratio della legge sopra richiamata, la figura del “genitore prevalente”.

D’altra parte, la dimostrazione della distanza ideologica e culturale della magistratura di Cassazione dei principi fondanti dell’affidamento condiviso è fornita anche dai dispositivi in materia di mantenimento economico dei figli.

Ai sensi dell’art. 155 della Legge 55/2006 ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, salvo diversi accordi. Il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio;

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

4) le risorse economiche di entrambi i genitori;

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

Il dettato normativo, afferma la preminenza del principio del mantenimento diretto da parte di ciascun genitore, tuttavia la Suprema Corte ha più volte ritenuto che la corresponsione di un assegno si riveli “quanto meno opportuna” quando si preveda una collocazione prevalente presso uno dei genitori, essendo più ampio il tempo di permanenza presso di lui.

A tal proposito la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, n. 1191/2020, afferma che “nella determinazione del contributo previsto dall'art. 277 cod. civ., in tema di mantenimento dei figli (…), la regola dell'affidamento condiviso a entrambi i genitori ai sensi dell'art. 155 cod. civ. (…) non implica deroga al principio secondo il quale ciascun genitore deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni dei figli in misura proporzionale al suo reddito. In applicazione di essa, pertanto, il giudice deve disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico che, in caso di collocamento prevalente presso un genitore, va posto a carico del genitore non collocatario, prevedendone lo stesso art. 155 la determinazione in relazione ai tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore”.

In tal modo, si consolida la prassi di definire un genitore “prevalente” e di rigettare la richiesta di mantenimento diretto indipendentemente dalla effettiva capacità reddituale. Il braccio di ferro tra i due modelli, mono e bigenitoriale, non è dunque ancora terminato.

Si è soliti pensare che tale impostazione pregiudichi il ruolo della figura paterna, in realtà pregiudica un progetto educativo che nell’esclusivo interesse del minore dovrebbe conferire pari dignità ad entrambi i genitori, anche in termini di partecipazione responsabile e costante nella vita della prole.

Il timore è che l’estensore di un provvedimento prima decida su basi di ispirazione culturale e dopo cerchi di costruire la giustificazione tecnica andando in sostanza a “stravolgere” il dettato normativo.

Tutto questo sarebbe difficilmente condivisibile, anche se la scelta a priori fosse ispirata a generali principi di equità.

Tali considerazioni sulle iniziative del potere giudiziario suggeriscono di incoraggiare quanto più possibile il ricorso a strumenti di conciliazione. Non di rado, peraltro, si assiste a vicende giudiziarie motivate dal solo risentimento e dal dolore delle parti coinvolte emotivamente, la cui animosità non risulta adeguatamente mitigata dai Professionisti che li assistono.

È compito degli Avvocati insistere affinché nell'affidamento dei figli il criterio da seguire sia quello del superiore interesse del minore e non quello della "maternal preference", e nel medesimo interesse del minore e della famiglia tutta favorire l’opportunità alla conciliazione laddove si manifesti percorribile.


Avv. Tiziana Ronchetti

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