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Immagine del redattoreAvv. Cinthia Bianconi

Padri e figli nella crisi e nella crisi matrimoniale e non

La crisi matrimoniale è fenomeno connaturale alla vita di coppia. Nell’esperienza di ognuno insistono ricordi, riflessioni immagini, momenti presenti o passati che evocano i contorni di una crisi matrimoniale. Non si deve avere una data età, non si deve essere di un dato ceto sociale, né di un gruppo culturale particolare. Neppure si deve essere un “addetto del mestiere”: avvocato, psicologo, religioso, appartenente alle forze dell’ordine per sapere che da qualche parte, in noi, si annida lo spettro della crisi coniugale, della crisi di coppia. E neppure è sempre detto che la crisi debba sfociare in una conseguenza negativa, di rottura, di perturbamento insanabile.

La crisi di per sé turba, ma il travolgimento può anche far fiorire nuove possibilità.

È così che ho pensato di inquadrare questo mio breve intervento su un tema complesso ma delicato nello stesso tempo.

Sulla figura paterna potrei finire molto facilmente “fuori tema” e, dunque, mi atterrò all’attualità osservata negli ultimi trent’anni di professione e di madre. Una provocazione, però, la lancio: in alcuni contesti la funzione di padre non è sempre quella che corrisponde al padre biologico, maschio che procrea all’interno di un matrimonio convenzionale ma può realizzarsi la situazione in cui la figura paterna è riferita chi ne fa le veci.

Dico anche che l’attenzione posta al rapporto padre-figli nella crisi matrimoniale e non (secondo me va tolto) anche nel matrimonio senza crisi, finisce per sviare l’attenzione dalla preminente tutela del minore, che dovrebbe essere sempre perseguita, a vantaggio di una dubbia super tutela dei minori nelle separazioni che altro non è che la rivendicazione di diritti dei genitori (padre o madre che sia) che non tengono in alcun modo conto della realtà delle situazioni. Quello che voglio dire lo affido in sintesi alle parole di un giudice in occasione di una separazione molto turbolenta nella quale il padre pretendeva dalla madre il rispetto delle regole sul diritto (ed anche questa parola è fuorviante) di visita della figlia ormai sedicenne: “non esageriamo con le pretese di regolamentazione e rispetto delle regole, i figli di separati finiscono per avere un trattamento diverso e molto più opprimente rispetto a coloro che vivono nelle famiglie unite e che il fine settimana escono tranquillamente con i loro amici ed entrambi i genitori”. Come dire che la ricerca della bigenitorialità perfetta in astratto, si scontra con l’evolversi normale della crescita dei figli e del loro rapporto con i genitori. Inoltre, viene da chiedersi perché i figli dovrebbero avere diritto ad una bigenitorialità perfetta, teorizzata come il miglior ambiente in cui crescere, solo nella situazione di separazione dei genitori? Ai figli di genitori non in crisi chi garantisce un tale ambiente considerato migliore?

La situazione di conflitto all’interno di una coppia che sfocia nella separazione dei coniugi è vissuta dai figli sempre come una frattura, una rottura imprevista. L’equilibrio si trova nel reinventarsi a favore del benessere psicofisico dei figli. Il rapporto con i figli cambia e si adatta alle circostanze anche in una coppia felice.

Negli anni passati il dogma del dover lasciare i figli alle cure quotidiane della madre e, aggiungo, nella casa dove avevano sempre vissuto che ha affondato le radici nel preconcetto che un padre non si sarebbe mai potuto occupare come una madre dei propri figli, perché non aveva tempo (lavorava e spesso era l’unico a farlo nella famiglia) o perché semplicemente non ne era capace. Malgrado che oggi giorno non sia più solo il padre a lavorare e a sostenere economicamente la famiglia - anzi, vi sono sempre più madri che addirittura hanno un lavoro meglio remunerato di quello del padre – non si è ancora superato il preconcetto dell’incapacità del padre di prendersi cura dei figli, di quelli piccoli, di accompagnarli nella crescita psicofisica per quelli più grandi. E dunque padri affidatari di figli minori, anche nella versione del collocamento paritetico, ce ne sono sempre pochi.

La domanda che mi pongo sempre è: perché? Perché in un mondo dove l’emancipazione femminile ha faticosamente conquistato traguardi impensabili sul fronte dell’uguaglianza uomo/donna, non si è ancora pronti a porre il padre sullo stesso piano della madre per quanto concerne il rapporto genitoriale?

La mia risposta è che spesso i padri si sentono inadeguati nel loro rapporto con i figli, perché sono vittime dell’eccesso di delega in favore della madre. E così, nella rottura del rapporto di coppia, debbono reinventarsi e non sempre sono nelle condizioni di poterlo fare.

Non sono nella condizione di poterlo fare, quei padri che si sono dovuti allontanare dalla casa coniugale a seguito di provvedimento del giudice e che non hanno le risorse economiche per poter accogliere i figli in una abitazione che abbia spazio adeguato anche per loro. O che non hanno la possibilità di organizzare la loro giornata lavorativa per stare con i figli. Padri che si arrendono alla condizione, tanto da loro deplorata, di Bancomat, per quieto vivere. E quando non si arrendono, mi chiedo se a loro venga mai in mente che forse lo sono sempre stati. Padri che non sono aiutati dalle madri che, forti della delega avuta sino al momento della separazione, continuano, malgrado loro stesse, ad accentrare, controllare, regolamentare l’essenza del rapporto fra padre e figli.

Padri e figli spesso si incontrano e conoscono a fondo proprio a seguito della crisi matrimoniale, e non solo perché il “diritto/dovere” di visita glielo impone, a mio modo di vedere perché i padri riprendono un pezzetto di quella delega lasciata alla madre e i figli ne apprezzano le conseguenze.

Le situazioni concrete non sono tutte uguali, e gli operatori del diritto, avvocati o magistrati che siano, senza escludere i mediatori familiari, hanno l’arduo ma doveroso compito di calarsi nella realtà di ogni nucleo familiare e aiutare a tirare fuori il meglio di sé da ogni genitore per favorire una crescita il più possibile equilibrata in una dimensione dove i figli hanno perso proprio quel senso di equilibrio dato loro dalla vita matrimoniale, non solo nel senso formale del termine ma di nucleo familiare.

La legge sull’affido condiviso, la collocazione paritetica, il contributo al mantenimento diretto sono senz’altro strumenti che stanno offrendo questa meravigliosa e indispensabile opportunità di reinventare il rapporto tra padre e figli. Ancor prima, e senza dover pensare solo alla crisi matrimoniale, il mutamento della legislazione sul congedo parentale concesso ormai ad entrambi i genitori contribuisce al miglioramento della qualità del rapporto padre-figli. Alcune iniziative di messa a disposizione di appartamenti in turnazione fra i padri separati consentono a questi di fruire di uno spazio adeguato nel quale consumare il loro diritto di visita e quindi rafforzare il loro rapporto con i figli.

Purtroppo, nella pratica ancora non si assiste al superamento totale del preconcetto sui padri, di non essere capaci ad avere un rapporto, prima ancora di un buon rapporto. E questo a discapito dei figli.

È mia opinione che il DNA dell’uomo/maschio che andava in guerra, che procacciava il cibo e quello della donna/femmina non esaurisca per nulla il persistere di tale pregiudizio.

Non mancano, nell’ultimo ventennio, esempi di padri separati, che hanno saputo come riorganizzare la loro vita lavorativa fornendo pareri al telefono mentre giravano il ragù in pentola. La tecnologia può essere di grande ausilio in queste circostanze.

Molti giovani padri, infatti, coltivano un rapporto più paritario con la madre dei figli e sono molto più presenti nelle vite di questi, tanto nell’accudimento quanto nel coltivare la loro educazione e la loro crescita. E le conseguenze di questo cambiamento si notano anche nella risoluzione della crisi coniugale, rendendo molto meno scontato il dogma della inseparabilità dei figli dalla madre.

Ma quindi, dove dovrebbero, i padri, imparare queste tanto decantate “capacità di accudimento materno”? Lo dovrebbero imparare da figli, dall’insegnamento di madre e padre. E per fortuna sempre di più si vedono padri che crescono figli in condizione di sostanziale parità, anche dove la crisi coniugale ha posto la parola fine alla vita di coppia. E se dalle crisi si può rinascere migliori di prima, anche quella della attuale pandemia e l’aumento del lavoro agile da casa, potrà portare ad un miglioramento della qualità del rapporto padre figli non solo nelle separazioni ma anche nei matrimoni.

Avv. Cinthia Bianconi

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