Per Processo Civile Telematico (PCT) s’intende “l’insieme di attività informatizzate attinenti la disciplina processualistica civile, costituito dallo scambio di flussi documentali, ovverosia di dati e documenti informatici firmati digitalmente, intercorrente tra i cc.dd. utenti esterni (avvocati ed ausiliari del giudice) ed i cc.dd. utenti interni (giudici e cancellieri) coinvolti” (CASSANO G., SCORZA G., VACIAGO G., Diritto dell’Internet. Manuale operativo. Casi, legislazione, giurisprudenza, Padova, 2013, p. 713).
In sostanza, attraverso il PCT è possibile depositare atti, effettuare comunicazioni e notificazioni, consultare fascicoli in via telematica. Si tratta di un processo durato oltre vent’anni e tuttora in continua evoluzione, introdotto con c.d. Legge Bassanini (art. 15, comma 2, L. 59 del 15.03.1997) e reso obbligatorio a decorrere dal 30 giugno 2014 (L. 228/2012, D.L. 179/2012 e D.L. 90/2014). Tale regime di obbligatorietà è stato successivamente esteso ai processi esecutivi, alle procedure concorsuali, ai depositi dei ricorsi per decreto ingiuntivo e ai relativi processi di opposizione, nonché ai giudizi dinanzi le Corti di Appello.
Un ulteriore sviluppo della telematizzazione del processo è stato reso possibile a seguito dell’introduzione di nuove regole volte a consentire la gestione delle attività giudiziarie nel rispetto dei criteri di distanziamento sociale, nonché di restrizione alla circolazione e/o all’accesso alle strutture pubbliche a seguito dell’emergenza pandemica. Di particolare interesse: l’obbligo del deposito telematico di tutti gli atti (anche quelli introduttivi) e documenti (art. 221, co. 3, d.l. n. 34/2020); la possibile trattazione scritta delle udienze civili che non richiedano la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti (art. 221, co. 4, d.l. n. 34/2020); la possibile celebrazione con collegamento da remoto delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice (art. 221, co. 7, d.l. n. 34/2020).
Ma come funziona il PCT? In sintesi, è necessario utilizzare un software “imbustatore”, che crea una c.d. “busta telematica” con formato *.enc (encripted) che viene inviata all’Ufficio Giudiziario in modalità sicura attraverso un Punto di Accesso (PDA). Occorre, dunque, un redattore atti (suite di office, open office, etc), una casella di Posta elettronica Certificata e una firma digitale (inizialmente, solo CAdES e ora anche PAdES).
Gli atti nel PCT devono essere in formato PDF “nativo digitale” (ossia la trasformazione in PDF di un file di testo).
Per i documenti allegati sono ammessi esclusivamente i formati pdf, txt, rtf, xml, gif, jpg, tiff, eml, msg, anche nei formati compressi zip, rar, arj.
Il processo di digitalizzazione della giustizia è stato visto da più parti come un’importante opportunità per contribuire alla risoluzione dei problemi di efficienza della giustizia italiana. Tuttavia, per quanto sia ad oggi innegabile la straordinarietà dello strumento informatico, è evidente come quest’ultimo si sia scontrato, da una parte, con i problemi tecnici connessi all’utilizzo di sistemi spesso inadeguati e, dall’altro, con le più varie “antipatie” verso detto strumento.
In proposito, basti pensare all’avversità di molti giudici all’abbandono dell’utilizzo della “carta”.
Sul punto, sembra emblematico un provvedimento risalente all’immediatezza dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà del PCT, con il quale il Tribunale di Milano ha ritenuto che il mancato deposito della copia cartacea da parte del difensore desse addirittura luogo a responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. (Tribunale di Milano 15 gennaio 2015, n.534).
Sebbene si sia trattato di un caso (per fortuna) isolato, ancora oggi, alcuni Tribunali hanno provveduto all’adozione di Protocolli che rendono obbligatorio (in contrasto con la normativa vigente) il deposito dei documenti in forma cartacea. Addirittura, con un recentissimo provvedimento, il Tribunale di Savona ha disposto il rinvio di una causa perché nessuna delle parti aveva provveduto al deposito dei documenti in copia cartacea.
Di fatto, in questo modo, si viene a limitare l’utilità del processo telematico, costringendo gli avvocati, appartenenti a Fori diversi (e, peraltro, evidentemente ignari dei vari protocolli attuati dai numerosi Tribunali dislocati sul territorio nazionale), a rivolgersi a terzi per le attività di domiciliazione, con ciò onerando i clienti di ulteriori costi che il PCT avrebbe potuto (dovuto) eliminare. Stesso problema si riscontra anche in quei Tribunali che, pur non sancendone l’obbligatorietà, richiedono comunque il deposito di “copie di cortesia” degli atti di causa (pratica fortunatamente in diminuzione, dopo un intervento del Ministero della Giustizia, ma tuttora sussistente), anche in questo caso vanificando i benefici del sistema.
Per quanto riguarda le difficoltà tecniche, basti pensare ai limiti connessi al “peso” digitale consentito per il deposito telematico (30 mega), con la conseguenza che, nei giudizi che richiedono l’allegazione di numerosi documenti, è necessario effettuare più depositi separati.
Fortunatamente, i software attualmente in uso (rigorosamente a pagamento), consentono la parcellizzazione del deposito in modalità automatica (ma, generalmente, solo dei file non compressi), con ciò agevolando notevolmente il lavoro dell’avvocato.
E’ stato, poi, da più parti contestato come il formato PDF non sia in realtà adatto, nella sua forma standard, alla conservazione dei documenti digitali (poiché non in grado di garantire la riproducibilità a lungo termine e neanche la conservazione dell’aspetto visivo), nonché come i formati audio e video non siano al momento producibili in via telematica (obbligando gli avvocati al deposito di cd-rom o chiavette USB).
E’ stato, altresì, rilevato che la c.d. “sottoscrizione” degli atti tramite “firma digitale” non costituisce affatto una firma, bensì un “sigillo digitale” (come correttamente definito dal nuovo regolamento europeo eIDAS), che autentica il documento, rendendolo immodificabile e attestandone la certa provenienza.
Ciò contrasta con quanto previsto antecedentemente all’introduzione del PCT. Nei depositi in forma “analogica”, infatti, non si pretendeva che l’atto fosse reso oggettivamente immodificabile e fosse di indubitabile paternità (ossia, fosse stato autenticato da un notaio, che ne conservasse copia nei suoi archivi), essendo sufficiente una firma (o anche solo una sigla) sull’ultima pagina da parte del difensore. Il compito di conservare e rendere immodificabile detti atti spettava alla cancelleria, successivamente al deposito e non all’avvocato.
Ulteriori problemi si sono riscontrati ai fini dell’applicazione delle nuove normative introdotte a seguito dell’emergenza pandemica. Molti Giudici si sono visti costretti a preferire le udienze cartolari, in luogo di quelle telematiche, a causa dell’inadeguatezza dei sistemi informatici dei Tribunali. E’, poi, accaduto che anche quei Tribunali dotati di sistemi informatici più aggiornati, abbiano dovuto disporre il rinvio delle udienze in conseguenza dell’impossibilità tecnica di ammettere alcuni dei difensori alla stanza d’udienza virtuale.
Le difficoltà applicative del PCT sembrano, quindi, da un certo punto di vista aver aggravato, anziché snellito, il sistema dell’amministrazione della giustizia. Ne è conferma la copiosa recente giurisprudenza, che ha dovuto risolvere problemi connessi ad aspetti di gestione tecnica del processo telematico.
Basti pensare ai provvedimenti con cui i giudici hanno chiarito che:
1. la sottoscrizione digitale o l’asseverazione di conformità all’originale sono necessarie solo quando la copia informatica sia estratta per immagine da un documento analogico (Tribunale di La Spezia n. 429/2020). In tal senso la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che è ammessa la notifica telematica del duplicato informatico senza attestazione di conformità perché, a differenza della copia informatica, ha la stessa “impronta”, ed è quindi copia autentica, dell’esemplare presente nella cancelleria telematica (Cassazione n. 7489/2021);
2. deve ritenersi irregolare il deposito telematico di una memoria contenuta in un documento illeggibile non rispettoso delle regole tecniche (che per gli atti telematici esigono il formato pdf), con conseguente diniego alla rimessione in termini formulata dal depositante (Cass. 28721/2020);
3. l’Avvocato, che non può procedere al deposito telematico dell’atto notificato a mezzo PEC, può estrarre su supporto analogico la copia del messaggio PEC, dei suoi allegati nonché della ricevuta di accettazione e di consegna e poi attestare la conformità dei file ai documenti informatici da cui li ha tratti (Cassazione n. 2316/2021)
4. il ricorso per cassazione è procedibile se si deposita copia analogica della pronuncia impugnata (predisposta in originale telematico e notificata via PEC) priva di attestazione di conformità o con attestazione non firmata, qualora la controparte ne depositi una copia analogica autentica o non ne confuti la conformità a quella originale (Cassazione n. 9951/2021). In difetto, il ricorrente ha l’onere di depositare entro l’udienza l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica (Cassazione Sezioni Unite n. 8312/2019; Cass. 8097/2921)
Ad ogni modo, nonostante le problematiche tecniche ad oggi riscontrate, sembra tuttavia che la digitalizzazione della giustizia sia oramai un processo in continua evoluzione e certamente irrinunciabile.
La Suprema Corte ha, infatti, addirittura sancito la sussistenza di un obbligo per gli avvocati (obbligo, tuttavia, non normativamente disciplinato) di adeguarsi all’evoluzione del processo telematico, dotandosi degli strumenti in uso poter decodificare i documenti e gestire la digitalizzazione di tutti gli atti del processo (si veda Cass. 22320/2017, con la quale è stato respinto il ricorso presentato da un avvocato che chiedeva di essere sollevato dalla responsabilità per non essere stato in grado di decodificare un documento sottoscritto in Cades con estensione “p7m” poiché privo degli strumenti software idonei). In particolare, la Corte ha statuito che: “Avendo avuto il processo civile telematico una fase di lunga sperimentazione e di graduale applicazione, non possono ritenersi legittimi i ritardi nell’adeguamento tecnologico e formativo da parte degli avvocati per tale modalità processuale”.
E, ad ulteriore conferma dell’importanza del processo telematico, si inserisce il ddl AS n. 1662/S/XVIII (c.d. maxiemendamento governativo al disegno di legge “ex Bonafede”) attualmente in esame in commissione giustizia al Senato, che prevede agli artt. 12 e 13 importanti novità “tech” nel processo civile, che di seguito si sintetizzano quelle di maggior interesse per il PCT:
1. utilizzo per gli atti di parte e del giudice, per i quali la legge non richiede forme specifiche, di campi precostituiti onde favorire i nuovi principi di chiarezza e sinteticità (introdotti esplicitamente in ogni grado del processo civile) e per facilitare l’inserimento (e la lettura) nei registri del processo. Il mancato rispetto delle specifiche tecniche o delle regole di compilazione non comporterà alcuna sanzione “processuale” se l’atto ha comunque raggiunto il suo scopo, ma potrà essere valutato ai fini della liquidazione delle spese;
2. in ogni stadio del processo civile, il deposito degli atti e dei documenti dovrà avvenire solo per modalità telematiche e altri mezzi tecnologici (attraverso sistemi e applicativi di upload - come già previsto nel processo telematico amministrativo);
3. divieto della notifica tramite l’ufficiale giudiziario a meno che l’avvocato non dichiari che la notifica via Pec non sia possibile in ragione di cause tipizzate dalla riforma;
4. istituzionalizzazione nel sistema Giustizia la gestione delle udienze da remoto, estendendone anche l’ambito di applicazione, e della trattazione per iscritto (fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, o per richiesta congiunta delle stesse);
5. utilizzo delle modalità telematiche da remoto anche per i procedimenti di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno relativamente alle udienze per l’esame dell’interdicendo, dell’inabilitando o della persona per la quale sia richiesta la nomina di amministratore di sostegno. Così come pure nelle separazioni consensuali, nelle quali le parti possono rinunciare alla udienza in presenza. Nonostante le problematiche tecniche più sopra riepilogate, appare indubitabile che il processo telematico abbia costituito un importante ed indifferibile strumento volto a favorire l’efficienza della giustizia e ad agevolare il lavoro degli operatori del diritto. Per quanto necessiti sicuramente di implementazione, è certamente oramai irrinunciabile.
Avv. Alessia Capozzi
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