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I TRE PASSI PER COSTRUIREIL PROCESSO MEDIATICO

Questa frase è di per sé una bugia ed una grande verità. Bugia perché non esiste nessun documento storico che dimostri che la frase attribuita a Goebbels sia effettivamente mai stata pronunciata, e verità perché il solo fatto di ripetere milioni di volte questa bugia è diventata di fatto una verità accettata coram popuolo.

L’unica frase inserita dal gerarca nazista in un suo articolo del 1941 dice:

“Gli inglesi seguono il principio secondo cui se menti, menti completamente, e soprattutto resta coerente con la tua menzogna!

Così stanno con le loro bufale, anche a rischio di prendere in giro se stessi.”

Dell’altra frase, quella sfruttata da tutti, nella bibliografia di Goebbels, non c’è traccia.

Esiste la teoria propagandistica della große Lüge, teorizzata da Hitler nel Mein Kampf anni prima. Ma anche lì quella frase tanto evocativa non risulta, non in quei termini, non con quelle parole.

Peccato vedere che è pieno di siti di “aforismi” che la attribuiscono a Goebbels, peccato vedere milioni di individui convinti sia sua. Peccato fino a un certo punto, perché questo è l’esempio perfetto di come una bugia ripetuta mille volte diventi la verità. 

Di casi equivalenti ne esistono a centinaia e riempiono i palinsesti di radio e TV nostrani oltre che le colonne dei giornali.

Esiste dunque una verità oggettiva quando si parla di informazione? Onestamente parrebbe di no.

L’obiettivo di questo articolo è quello di dare una lettura ai processi che sottendono la creazione di una notizia per andare a scoprire se esistono leve da utilizzare per “usare” i media e, nel caso, come utilizzarli a fini puramente di business.

Lascio l’analisi dell’uso strumentale delle informazioni, della creazione dei processi mediatici e dei loro effetti sulla vita delle persone a chi ha scelto come “missione” per la sua vita il battersi per la giustizia e la dignità dell’imputato, dedicandomi ad un punto di vista sicuramente meno nobile.

Quello che dicono gli altri è sempre vero!

Partiamo da qui, sembra un’affermazione quantomeno strampalata ma è esattamente quella che muove tutte le leve del processo mediatico.

Il processo è questo:

I media danno una notizia

Le persone iniziano a dare credito alla notizia perché lo hanno detto i media

I media si fanno forti dell’ascolto delle persone per sostenerne l’importanza

Gli sponsor sono disposti a pagare pur di apparire sul proscenio dei media

I media fatturano grazie all’interesse provocato e continuano a soffiare sul fuoco tenendo alta l’attenzione fino a quando non nasce un nuovo caso

Si ricomincia dal punto 1

Purtroppo, molto spesso chi capita in questo processo tritacarne ne esce completamente distrutto, a meno che…

A meno che non sia il creatore del processo stesso.

Ebbene sì, conoscendo le regole del gioco si può creare o quantomeno gestire un processo mediatico per trarne vantaggi per il proprio business.

Ma andiamo per gradi.

Per prima cosa cerchiamo di vedere quali sono gli elementi fondamentali per cui media e giornali hanno un potere così grande.

Primo punto è la percezione di neutralità ed indipendenza della fonte.

Secondo punto è l’autorevolezza acquisita di chi comunica

Terzo punto è la ripetitività del messaggio

Attraverso questi elementi vengono creati dei veri e propri personaggi che diventano “familiari”, fino a diventare una parte del vissuto di ognuno di noi:

La scelta dei nomi e delle caratteristiche dei soggetti o degli accadimenti,

La creazione di una narrazione del vissuto dei protagonisti attraverso l’analisi ingrandita della vita quotidiana,

L’accoppiamento dei protagonisti con attributi etici e sociali, quasi a rendere fisico e palpabile anche il più aleatorio dei concetti.

Come tutto questo agisce in pratica? Il tutto si fonda sulla velocità del quotidiano e sul bisogno di evadere dai problemi quotidiani che ognuno di noi ha. Più sono alte le frustrazioni e le delusioni della vita reale, più è complesso e poco gratificante il cammino che stiamo facendo, più siamo terreno fertile per notizie che di fatto non ci interessano, più basso è il livello della nostra eticità sociale e più alta è la gratificazione personale nello scoprire persone “peggiori” e giudicabili.

Ma torniamo agli elementi su cui si fonda il castello mediatico, il primo abbiamo detto è la percezione di neutralità e di indipendenza della fonte.

In fin dei conti quale interesse dovrebbe mai avere un giornalista di provincia a raccontare un fatto? Qualunque esso sia. E quale interesse dovrebbe avere un direttore di testata a dare retta a un redattore di periferia?

Questi elementi portano la mente stressata dalla quotidianità ad abbassare i livelli di attenzione, giù tutte le barriere e via libera alle notizie che arrivano da una fonte che diventa automaticamente attendibile.

Lo ha detto la TV, l’ho sentito alla radio, l’ho letto sul giornale sono frasi che sottendono un atteggiamento fideistico nei confronti del media in quanto tale, media che diventa nuovo tabernacolo sacrale sulla via dell’informazione.

Ovviamente non esiste un solo motivo per credere all’indipendenza e alla neutralità dei media, se solo ci si approcciasse in modo critico ed attento.

Il secondo elemento è strettamente collegato al primo, se il mezzo è neutrale e indipendente, chi lo rappresenta assume per osmosi gli stessi crismi e diventa un super uomo.

Perfetto nella deontologia, nella giustezza delle affermazioni e autorevole portatore sano di notizie VERE.

Certo anche in questo caso non possiamo parlare che di verità percepite, logicamente e a mente accesa, chiunque saprebbe scindere la persona dal ruolo e sarebbe in grado di accettare anche la fallibilità dell’essere umano… ma non in TV, non in radio, non sui giornali, la credibilità derivata dal mezzo si spande con la velocità che nemmeno lo Spirito Santo nel giorno della Pentecoste.

Il terzo elemento essenziale è la ripetitività del messaggio, senza la ripetizione ogni notizia è destinata a scivolare via senza lasciare alcuna traccia.

Per questo motivo difficilmente si riesce a ripulire l’immagine dopo una campagna mediatica.

Fiumi di inchiostro, miliardi di parole spese in una direzione non possono essere minimamente intaccate da una singola notizia su qualunque media.

Detto degli elementi fondanti del processo mediatico, andiamo a scorrere le principali strutture di comunicazione necessarie per la creazione del caso.

La prima struttura importante è data dalla costruzione di nome e scelta delle caratteristiche peculiari del caso.

Il mostro di Firenze, il mostro di Foligno, il Canaro, il delitto dell’Olgiata, il delitto di Cogne, la strage di Erba, il delitto di Garlasco, il delitto di Perugia, il delitto di via Poma sono solo alcuni esempi di creazione del nome memorabile.

Al nome semplice da ricordare si associa di solito un attributo etico o morale in modo tale da creare un’immagine reale di un concetto normalmente astratto.

Nominalizzazioni come efferatezza, cattiveria, perfidia, meschinità, crudeltà, ferocia ma anche bontà, altruismo, umanità, altruismo non sono visualizzabili se non con l’associazione diretta ad un’immagine.

La scelta del nome semplice e/o dell’attributo esorcizzante sono elementi essenziali non soltanto per i titolisti, ma divengono vere e proprie leve grazie alle quali far leva sui bisogni inconfessabili della massa. In fin dei conti quella che oggi ha preso il nome di virilità si fonda esattamente sul bisogno voyeuristico dell’essere umano, il desiderio di sentirsi migliore, il bisogno proiettato di vedere sé stessi pagare per ciò che non si sarebbe mai fatto. Il bisogno che spingeva le popolazioni ad assistere alle esecuzioni capitali ai processi di piazza.

Un bisogno di ergersi a giudice dei costumi protetto dall’anonimato di uno schermo o di un foglio intriso di inchiostro.

Per sollecitare questo istinto occorre andare oltre la mera definizione del nome, si passa quindi alla descrizione minuziosa delle routine di vita quotidiana, questo consente veramente a tutti di entrare nella storia.

Tecniche di narrazione valide da sempre e per sempre, lo schema del percorso dell’eroe che non necessariamente deve tradursi in una vittoria.

Lo schema per capirsi dell’Iliade, dell’Odissea, dei Promessi Sposi o di Guerre Stellari, uno schema che porta i protagonisti dritti nella nostra quotidianità passando dal racconto minuzioso alle immagini in primo piano fino ad arrivare ai plastici.

Un racconto quotidiano talmente efficace che ha modificato di fatto la storia del cinema e della televisione.

Un processo che si è talmente radicato che ha indirizzato i produttori, sempre attenti agli incassi al botteghino, ad eliminare il lieto fine delle storie a vantaggio di finali catastrofici e possibilmente angoscianti.

Non è un caso che la classifica delle prime 10 serie TV riporti titoli come: Breaking Bad, Dark, I Durrel, Chiamatemi Anna, Penny Dreadfull, Prion Break, Chernobil, Il Trono di spade, Hell on Wheels, tutte serie drammatiche o horror, serie ben diverse da quelle anni ’80 con i vari A-Team, Saranno Famosi, Genitori in Blue Jeans o I Robinson.

Tutto questo ha certamente risvolti negativi nell’ambito di un processo mediatico nei confronti di un imputato, ma è anche il punto debole della comunicazione, il suo tallone d’Achille.

Conoscendo gli schemi comunicativi dei media e gli effetti prodotti dal loro operato possono essere creati percorsi e processi atti a creare intorno ad ogni singola persona o ad ogni singolo prodotto l’effetto Authority.

Seguendo uno schema preciso e collaudato possono essere creati personaggi e brand grazie a quello che si definisce publicity, vale a dire l’insieme delle informazioni che vengono veicolate da terze parti su di noi.

Purtroppo, in Italia il concetto di gestione delle pubbliche relazioni si limita agli eventi mondani e al passaparola spontaneo dei clienti nel loro gruppo dei pari, in realtà ciò che è a disposizione di tutti è un arsenale completo per creare brand supersonici, ma questo è argomento che riguarda il supplemento di questa rivista.

Francesco Agostino

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