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La storia di Ilya Muromets

In Occidente quasi nessuno conosce le avventure dei cavalieri russi o bogatyri, i guerrieri della Santa Rus'. Purtroppo in Occidente sono dai più conosciute solo le avventure di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda e si ignorano del tutto invece le affascinanti vicende ed avventure di questi eroici e possenti cavalieri. In Russia i racconti riguardanti le loro gesta sono stati tramandati di generazione in generazione per secoli oralmente e nei villaggi rurali i racconti venivano accompagnati da folkloristiche ballate popolari.

I tre più grandi e famosi cavalieri bogatyri furono: Ilya Muromets, Dobrynja Nikitič e Alëša Popovič.

Nella pagina accanto vi è un famoso dipinto che tutti i russi conoscono ed è opera del pittore Viktor Vasnetsov. Ilya Muromets è il cavaliere al centro sul cavallo nero. Dobrynja Nikitič è il cavaliere a sinistra sul cavallo bianco. Alëša Popovič è il cavaliere a destra.

Ilya Muromets (oppure anche Il'ja Muromec), soprannominato il "vecchio cosacco", è ritenuto il più grande dei cavalieri russi fedele alla sua terra ed alla sua gente. Ilya incarna il prototipo dell'eroe forte e generoso ma con temperamento focoso ed è l'eroe più amato da tutto il popolo russo. Rappresenta la classe contadina, legata alla terra e al lavoro dei campi. È spesso polemico nei confronti dei nobili. Ha trascorso la sua vita combattendo contro i nemici della religione ortodossa e per la salvezza della Santa Rus'. La sua figura fu utilizzata come modello di quello che avrebbe dovuto essere l'ideale di "uomo russo". Secondo tale impostazione, infatti, Ilya racchiudeva in sé le qualità che distinguevano il "tipico russo" dal resto dei popoli europei, rappresentate da una forza gentile e mai aggressiva ma pronta a difendere la causa del suo popolo. Tale interpretazione fu condivisa successivamente anche da Dostoevskij.

Sebbene le gesta epiche di Ilya Muromets siano state tramandate oralmente in storie arricchite di molta fantasia, Ilya Muromets è esistito realmente. Nel 1643 fu canonizzato Santo dalla Chiesa Ortodossa con ricorrenza celebrata il 1° gennaio.

Le sue reliquie sono sepolte a Kiev nel monastero Kyevo Pečers'ka Lavra, conosciuto anche come Monastero delle Grotte di Kiev, un antico monastero fondato nel 1051 dai monaci Antonio e Teodosio. Nel 1988, una Commissione del Ministero della Salute dell'Unione Sovietica ha esaminato le reliquie, a seguito della quale, dopo esami ed analisi durate 3 anni ed alle quali hanno partecipato scienziati di diverse specializzazioni, è stato stabilito che si trattava di un uomo che è morto nell'anno 1188 circa, all'età di 40-55 anni, a causa di ferite al cuore molto probabilmente subita in battaglia (3). Inoltre al momento della morte aveva la clavicola destra rotta ed una ferita tagliente sul palmo della mano sinistra. Gli scienziati trovarono altri segni di costole rotte, molto probabilmente in battaglia, ma gli esami radiologici hanno evidenziato che queste fratture si sono ricomposte nel corso degli anni. Gli esami stabilirono che la sua altezza fosse di circa 177 cm in un periodo storico in cui la popolazione era normalmente di altezza inferiore raggiungendo il massimo di 160-165 cm.

Le analisi delle ossa e delle tuberosità del corpo mummificato hanno evidenziato che la sua massa muscolare era molto ben sviluppata simile a quella di un odierno atleta professionista. Gli esami a raggi X hanno evidenziato che in gioventù abbia sofferto di una malattia specifica la spondiloartrosi. Nelle descrizioni dei radiologi è indicato: «уплощение тела пятого поясничного позвонка, наличие остеофитов на грудных и поясничных позвонках, а также дугообразные соединения отростков пятого и четвертого поясничных позвонков позволяют утверждать, что при жизни этот человек страдал спондилоартрозом», "appiattimento del corpo della quinta vertebra lombare, la presenza di osteofiti nel torace e vertebre lombari, processi di connessione a forma di arco della quinta e la quarta vertebra lombare". Secondo i sintomi di questa malattia, le persone che ne sono afflitte hanno una mobilità limitata oppure sono costrette alla paralisi degli arti.

Dobrynja Nikitič è il secondo bogatyr per ordine di importanza dopo Ilya Muromets. Dobrynja Nikitič è di nobile famiglia e per questo motivo ha un cavallo bianco e sfoggia armi lussuose. La dote che lo contraddistingue dagli altri possenti guerrieri russi è l'astuzia, in quanto fisicamente è meno forte degli altri. Egli è molto colto ed è un buon oratore ed un fine diplomatico.

Alëša Popovič è invece figlio di un religioso. È un guerriero forte ed astuto ma dal carattere ambivalente. Infatti spesso mente, si ubriaca, agisce per invidia ed è pronto ad insidiare mogli e fidanzate altrui. Alëša Popovič ha la capacità di volgere a suo favore situazioni intricate e complicate mediante l'utilizzo di una spiccata intelligenza. Ilya, Dobrynja e Alëša sono un microcosmo che rappresenta in qualche modo l’intero popolo russo: il contadino onesto e generoso, il nobile valoroso e leale, e il religioso con ironici tratti di dongiovanni.

È interessante notare che né Ilya Muromets né altri eroi russi hanno mai compiuto imprese per la gloria personale, ma le loro gesta sono sempre volte al bene del popolo russo.

Questa è la loro storia! Tanto tempo fa, prima del 1361 quando il condottiero mongolo Mamaj arrivò dall'oriente per portare massacri e distruzioni nella terra di Rus', la grande e splendente città di Kiev era la madre di tutte le città russe. Allora regnava sulla Santa Rus' il gran principe Vladimir, detto "Piccolo Sole". La Rus' a quel tempo era al sicuro perché il gran principe Vladimir si circondava di una schiera di valenti cavalieri, i bogatyri, i quali proteggevano validamente il territorio e le frontiere da tutti i nemici.

Come precedentemente accennato, Ilya Muromets è l'eroe più amato da tutto il popolo russo. Molte persone in Russia si chiamano Ilya, in onore delle sue gesta e per questo è un nome che gode di grandissimo rispetto da parte di tutta la popolazione russa. Nel corso dei secoli, il nome Ilya divenne sinonimo di fierezza ed integrità spirituale. Il giovane Ilya era nato a Karačarovo, un piccolo villaggio presso la grande città di Murom. Il padre Ivan era un contadino che lavorava la terra dall'alba al tramonto, e avrebbe davvero avuto bisogno di un paio di braccia in più che l'aiutassero nel suo lavoro, ma purtroppo il povero Ilya non poteva aiutarlo, essendo nato paralitico. Non sapeva camminare, né disporre dell'uso delle mani.

Ed era ben triste per i genitori assistere questo povero ragazzo che trascorreva tutta la sua fanciullezza su un giaciglio all'interno della casa, intristito per essere di peso alla sua famiglia. Ilya aveva 33 anni l'estate in cui tre vecchi pellegrini bussarono alla sua porta e per tre volte gli chiesero: "Alzati, Ilya, Ilya Ivanovič. Dacci da bere, che abbiamo sete. Dacci da bere a sazietà!". Non vi era nessuno in casa, i genitori di Ilya erano fuori a lavorare nei campi, e per tre volte rispose il giovane Ilya dal suo giaciglio: "Volentieri vi darei da bere, vi darei da bere fino ad inebriarvi. Ma per trent'anni di lunga vita non seppi camminare sui miei piedi e non seppi disporre delle mani." Ed i pellegrini allora dissero: "Alzati, Ilya, Ilya Ivanovič. Con i tuoi piedi tu sai camminare, delle tue mani tu sai disporre!" Ilya si alzò immediatamente ed esclamò: "Oh, gloria al Signore! Dio mi ha concesso di camminare, ha infuso forza nelle mie mani, il Signore!" Corse nelle cantine e portò da bere ai pellegrini, i quali dissero: "E ora, Ilya, scendi di nuovo nelle cantine, porta su una coppa colma fino all'orlo e bevi anche tu alla tua salute!" Ilya fece come gli era stato detto e bevve. E d'incanto sentì sorgere in sé una forza smisurata. Allora i pellegrini lo benedissero e lo salutarono con queste parole: "Vivi, Ilya, per essere guerriero! In terra morte non t'è destinata, in lotta morte non t'è destinata!"

Subito Ilya corse nei campi dai genitori, i quali si stupirono molto nel vederlo arrivare sulle sue gambe e lodarono Dio per il miracolo che aveva compiuto. E Ilya dimostrò loro la sua forza sradicando una grandissima quercia e gettandola di traverso sul fiume Nepra in modo da farvi un ponte per passare dall'altra parte. Rivolgendosi ai genitori disse: "Tu adesso padre, e anche tu madre, datemi la vostra benedizione. Io intendo partire per la grande città di Kiev, dal principe Vladimir, il piccolo sole, per mettere la mia forza al suo servizio." I genitori risposero: "O figlio diletto, parti per la grande città di Kiev. Grande forza ti ha dato Dio, ma tu vivi sempre in grande umiltà." Il mattino seguente Ilya prese il suo cavallo di nome Sivko e partì dal suo villaggio diretto alla grande città di Kiev. Indossava un abito semplice e pratico e aveva con sé una spada, una lancia, un arco e una pesante clava. Salutò i genitori e promise loro che durante il viaggio non avrebbe sparso sangue: solo una volta giunto a Kiev avrebbe sguainato la spada e mostrato il suo valore.

Ben deciso a giungere a Kiev in un solo giorno, Ilya partì al galoppo per le aperte ampie steppe. Ma giunto nei pressi della grande città di Černigov, si accorse che questa era assediata da un'orda di tartari decisi a massacrare tutti gli abitanti e a radere al suolo le chiese. Pregando Dio di liberarlo dal voto, Ilya dapprima colpì i tartari con una pioggia di frecce e poi spronò il cavallo ed affronto da solo con la spada i tanti tartari rimasti ancora in vita, annientandoli tutti senza risparmiarne alcuno. Finita la battaglia si aprirono le porte di Černigov e gli abitanti della città uscirono a fargli festa e gli proposero di divenire loro sovrano. Ilya rifiutò, e si limitò a chiedere la strada per giungere a Kiev. Gli abitanti di Černigov spaventati e preoccupati gli dissero: "Da trent'anni nessuno transita più per la strada per Kiev, ormai bloccata da cespugli ed erbacce, poiché nei boschi di Brjansk, presso il fiume Smorodinka, su sette querce ha fatto il suo rifugio il brigante Solovej. Appena Solovej cinguetta come un usignolo, tutte le erbe dei prati s'intrecciano, gli alberi si sradicano e quanti sono nei pressi cadono morti a terra!" Bisognava prendere un'altra strada, più lunga e tortuosa, ma Ilya si era ripromesso di arrivare a Kiev in giornata.

Così si avviò per i boschi di Brjansk, facendosi strada attraverso l'intricata vegetazione. Arrivato al fiume Smorodinka, il brigante Solovej si sporse dall'alto della sua quercia e gli lanciò un fischio lacerante, tanto che Sivko, il cavallo di Ilya, si paralizzò dal terrore. Subito Ilya prese l'arco e scoccò una freccia la quale colpì Solovej in un occhio e il brigante cadde giù dall'albero. Allora Ilya lo afferrò, lo legò al pomo della sella di cuoio e riprese la via per Kiev.

Ilya però non si rese conto di passare accanto al rifugio di Solovej, nel quale vivevano le tre figlie del brigante con i loro mariti. Non appena le figlie videro il padre legato alla sella di Ilya, chiamarono i mariti perché intervenissero. Questi si affacciarono dal rifugio e chiamarono Ilya: "Vieni, robusto bravo giovane, sii nostro ospite nel rifugio. Ti offriremo cibi prelibati e dolci bevande, e ti doneremo doni preziosi." Ma Ilya non si fece ingannare. Non appena entrò nel rifugio, trasse la spada e fece tutti quanti a pezzi. Poi, sempre col brigante legato alla sella, riprese il viaggio.

Giunto alle porte d'oro della grande città di Kiev, Ilya entrò nel palazzo del gran principe ed in presenza di tutti i nobili s'inchinò di fronte al gran principe Vladimir. Vladimir lo accolse con garbo: "Da dove vieni, robusto bravo giovane? Chi è tuo padre, chi è tua madre, qual è la tua stirpe?". Ilya rispose: "O gran principe, piccolo sole, io provengo dal villaggio di Karačarovo, presso la grande città di Murom. Sono Ilya Ivanovič e sono giunto alla grande città di Kiev attraverso i boschi di Brjansk, per servirti in fede e verità, proteggere la Santa Rus' e difendere la chiesa ortodossa." Ma il principe Vladimir esclamò: "Ti vuoi prendere gioco di me! Da trent'anni nessuno transita più per i boschi di Brjansk. Presso il fiume Smorodinka ha il suo rifugio il terribile brigante Solovej!" Allora Vladimir e tutti i nobili, increduli e perplessi, si recarono in cortile, e qui trovarono il brigante Solovej legato alla sella di Sivko. Subito cominciarono a ridere ed a prenderlo in giro: "Cinguetta, adesso, Solovej, come un usignolo! Cinguetta, Solovej!" Ma Solovej dichiarò, con la bocca incrostata di sangue, che avrebbe obbedito solamente a colui che l'aveva catturato. Allora Ilya gli diede da bere un secchio di vodka e gli ordinò di fischiare, ma con poco fiato, per non fare danni. Solovej pensò però che non aveva più niente da perdere e fischiò con quanto fiato aveva in gola. Esplosero le finestre di cristallo del palazzo, i cavalli scapparono, si sradicarono gli alberi e molte persone caddero morte a terra. Il principe Vladimir si salvò per miracolo. Allora Ilya afferrò Solovej per i capelli e lo condusse nella steppa, dove gli tagliò la testa. Metà del corpo lo diede in pasto ai lupi, metà ai corvi, e questa fu la fine del brigante Solovej.

I giorni seguenti Ilya si domandava che specie di guerriero fosse. Ricordava le parole dei vecchi pellegrini: "In terra morte non t'è destinata, in lotta morte non t'è destinata!" Cavalcò dunque verso i monti per cercare il più possente e più antico dei bogatyri, i cavalieri russi, il grande Svjatogor. Intendeva mettere alla prova la sua forza con quella dell'invincibile Svjatogor.

Così Ilya lasciò Kiev e partì per le montagne. E mentre vagava per quelle terre deserte, ecco che vide avanzare un cavallo gigantesco, in groppa al quale si trovava un cavaliere che col pennacchio dell'elmo sfiorava le nuvole. Era Svjatogor. Allora Ilya spronò Sivko e prese la rincorsa. Balzò fino alla testa del gigante e gli vibrò un enorme colpo della sua mazza ferrata. Ma Svjatogor nemmeno se ne accorse. Ilya si domandò: "Cos'è successo alla mia forza prodigiosa? Fino a qualche giorno fa abbattevo interi eserciti, e adesso?" Provò a vibrare un colpo ad una quercia e quella andò in pezzi. Dunque aveva ancora la sua forza. Ilya tornò all'attacco e diede un'altra possente mazzata al capo di Svjatogor. Ma nemmeno stavolta il gigante parve molto turbato. Ilya tentò una terza volta e, facendo appello a tutte le sue forze, colpì Svjatogor sul petto. Questa volta il gigante oscillò leggermente, poi, muovendo la mano come se dovesse schiacciare una zanzara, afferrò Ilya per i capelli e se lo ficcò distrattamente in una tasca. Dopo non molta strada il cavallo di Svjatogor cominciò ad incespicare come se fosse aumentato il peso che stava trasportando. Svjatogor allora tolse dalla tasca Ilya ed esaminandolo si accorse che era un cavaliere e gli disse: "Ah, dunque fosti tu che osasti colpirmi per tre volte! Chi sei, buon valoroso prode?" Ilya rispose presentandosi: "Sono Ilya Ivanovič della grande città di Murom. Volevo far conoscenza con te e con te misurare la mia forza, o famoso Svjatogor." Svjatogor rise: "I tuoi colpi mi son parsi punture di zanzara. Buon per te che non ti ho colpito, altrimenti ti avrei polverizzato gli ossicini. Ebbene, prode Ilya Muromets, sii il mio fratello minore. Io sarò per te il maggiore." Ilya accettò e i due andarono insieme per monti e valli, scambiandosi i racconti delle loro imprese. Un giorno mentre vagavano sulle montagne notarono un immenso sarcofago di pietra. Ilya provò ad entrarvi ma era evidente che era troppo grande e non corrispondeva alle sue misure. Allora Svjatogor disse: "Non è per te il sarcofago, è chiaro. Piuttosto sembra della mia misura. Fammi entrare e prova a chiudere il coperchio." Ilya tentò di dissuaderlo ma il gigante non gli diede ascolto. Si distese nel sarcofago e Ilya gli mise sopra il coperchio. Poi Svjatogor chiese di uscire. Ilya provò a smuovere il coperchio, ma quello si era saldato al sarcofago. Inutilmente Ilya tentò di infrangerlo con la mazza: il coperchio resisteva ai suoi colpi più possenti. Svjatogor gli consigliò: "Prendi la mia spada. Con quella riuscirai a infrangere questo sarcofago!" Ma Ilya rispose: "Inutile, la tua spada non riesco nemmeno a sollevarla da terra." Svjatogor si rese conto alla fine che non poteva sfuggire al suo destino e disse: "Qui finisce la vita di Svjatogor. Ilya, compagno mio, prendi il mio buon cavallo e legalo qui accanto, perché perisca accanto al suo padrone e nessun altro lo possieda." Ilya fece come gli era stato chiesto e tristemente se ne andò. E questa fu la fine di Svjatogor.

Un giorno, il Principe Vladimir indisse a Kiev un lauto banchetto. Invitò i principi che reggevano le grandi città russe e i nobili del suo seguito, invitò i ricchi mercanti ed i popi. Invitò anche i forti e possenti bogatyri, i guerrieri della Santa Rus'.

Gli ospiti sedettero vicini e intorno al tavolo, mangiarono e bevvero tra grandi risate ed iniziarono a vantarsi delle loro ingenti ricchezze. A questo punto il Principe Vladimir si alzò dicendo: "Smettetela tutti quanti di vantarvi! Vi darò io, piuttosto, un premio. Darò a taluni argento puro, ad altri oro prezioso, ad altri ancora donerò perle preziose." A tutti elargì munifici doni, dimenticando però il vecchio cosacco Ilya Muromets. E quando la principessa Apraksija gli ricordò che ad Ilya non era stato fatto alcun dono, Vladimir sbuffò e rispose: "Tu, principessa, sei davvero irragionevole! Premierò l'audacia del vecchio cosacco con i doni che mi sono stati mandati dai tatari e dai besurmani. Ecco, gli donerò questa pelliccia di zibellino."

Ilya Muromets si rattristì e fu preso da grande sdegno. Si alzò in piedi furibondo. Intimorito, il Principe Vladimir cercò di correre ai ripari dicendo: "O Ilya Ivanovič, non sta bene adirarti col tuo principe. Piuttosto, bevi e mangia con noi, e assumi la carica di Governatore." Il vecchio cosacco rispose: "Io non voglio bere e mangiare con voi. E non voglio essere Governatore per voi."

Di fronte a quell'orgoglioso rifiuto, il Principe si adirò. Chiamò i suoi uomini e ordinò loro di afferrare Ilya e cacciarlo via dal grande salone. Ma il vecchio cosacco stese al suolo chiunque provasse solo ad avvicinarsi e, dopo aver abbattuto tutte le guardie, volse le spalle al Principe e uscì da solo dal palazzo.

Una volta che fu all'esterno, egli brandì il suo arco e trasse dalla faretra un mazzo di frecce. Scagliò le frecce colpendo volontariamente le cupole dorate del palazzo del Principe. Dopodiché si volse verso le chiese ed abbatté le croci dorate che si rizzavano sopra di esse, senza lasciarne più nemmeno una.

Poi, afferrate le croci sotto le braccia, Ilya le portò in una vicina osteria. Le rovesciò ai piedi dell'oste e chiese, in cambio, del vino. Ma poiché l'oste non volle sottostare a quello scambio, Ilya lo tolse di mezzo con uno spintone, spaccò con un calcio la porta della cantina e portò fuori tre botti di vino: una sotto il braccio destro, un'altra sotto il sinistro, e una terza spingendola avanti con il piede. Portatosi nella piazza principale, proprio di fronte al palazzo del Principe, chiamò a raccolta gli abitanti della grande città di Kiev dicendo: "Cittadini e contadini, straccioni e mendicanti! Accorrete al banchetto di Ilya Ivanovič! Bevete e non abbiate timori! Oggi io sarò per voi il Principe di Kiev!" Tutti gli uomini e le donne, andarono al banchetto di Ilya Muromets, e vi fu una grande festa.

I nobili corsero dal Principe Vladimir: "O piccolo sole! Ilya Muromets ha imbandito un banchetto davanti al tuo palazzo, ti sfida apertamente! Ha detto che vuole divenire lui stesso il principe e mettere il popolo al posto dei nobili!" Allora il Principe Vladimir gridò: "Prendete Ilya Muromets, il vecchio cosacco, afferratelo per le braccia e gettatelo in una fossa profonda. Chiudete con grate di ferro e serrate con sbarre di quercia! E non dategli da bere e da mangiare per quaranta giorni. Che quel cane muoia di fame!"

L'ordine venne eseguito. Ilya fu gettato in una profonda fossa, e questo venne chiusa con una grata di ferro e serrata con sbarre di quercia. Sopra di essa venne posta una pesantissima pietra, a sua volta ricoperta di sabbia. Ma sdegnati dal comportamento del Principe, tutti gli altri bogatyri abbandonarono la grande città di Kiev e svanirono al galoppo nella steppa, per non farvi mai più ritorno.

Trascorsero vent'anni. E poi accadde che un'ombra nera si stese sulla grande città di Kiev. Una nera nuvola si levò all'orizzonte, coprendo il sole, e una puzza fortissima invase la città, rendendo difficile persino il respirare. Le sentinelle corsero dal Principe, dicendo: "Vladimir, piccolo sole! La città è seriamente minacciata dai tatari. E' giunto il nero esercito dei pagani, è arrivato Kalin-zar ! Lo accompagnano quaranta re e ognuno di essi ha quarantamila guerrieri al suo seguito."

A quelle parole, Vladimir e tutti i nobili furono presi da grande paura ed agitazione. Ma non vi era nulla che potessero fare. Vent'anni prima, i bogatyri avevano abbandonato la grande città di Kiev, e non vi era più nessuno che potesse difenderla.

Giunto nei pressi della grande città di Kiev, l'imponente esercito tataro si accampò a breve distanza, nei pressi del fiume Dnepr. Kalin-zar inviò un messaggero verso la città il quale giunto alle porte del palazzo le sfondò con un violento calcio. Il messaggero non s'inchinò dinanzi al Principe, né alla principessa. Gettò sul tavolo una lettera scritta in lingua russa e si allontanò senza dire una parola. Il Principe Vladimir chiese che la lettera venisse letta. Sulla lettera Kalin-zar ordinava: "Cedimi immediatamente, gran Principe Vladimir, la grande città di Kiev, senza combattere e senza spargere inutilmente il sangue. Se non adempierai alla mia richiesta, io raderò al suolo la grande città di Kiev. Userò le chiese come stalle per i miei cavalli. Le icone le getterò nel fango e i monasteri li raderò al suolo. Degli abitanti di Kiev, non ne lascerò nessuno in vita, ma tutti li passerò a fil di spada, compresi i vecchi e i bambini. In quanto a te, gran Principe Vladimir, sarai torturato, e la principessa Apraksija la prenderò come moglie. Questo accadrà, se non ti arrenderai."

Il principe Vladimir fu preso da gran paura. Le sue gambe si piegarono e cominciò a piangere dicendo: "Non c'è nulla da fare. La grande città di Kiev dovrà arrendersi senza combattere, visto che nessuno dei bogatyri è qui a difenderla. A causa del banchetto Ilya Muromets fu giustiziato e tutti gli altri bogatyri abbandonarono la città. O moglie, mia adorata, principessa Apraksija! È giunto il momento di consegnare la gloriosa capitale, al cane senza Dio, a Kalin-zar”.

Ma Apraksija, la Principessa, disse: "Vladimir, piccolo sole. Non è morto, Ilya Muromets, ma è tra i vivi. Quando tu ordinasti di gettarlo in una fossa e lasciarlo morire di fame, io feci segretamente scavare un passaggio e, da allora, io stessa lo rifornii di cibo e di acqua, di coperte e di cuscini."

Una luce di speranza accese lo sguardo del Principe e chiese ad Apraksija di fargli strada nel profondo sotterraneo. Giunti nel sotterraneo videro Ilya Muromets il quale apparve molto invecchiato e lunghi bianchi capelli lo avvolgevano come un mantello. Vladimir si gettò ai suoi piedi e gli rivelò del pericolo in cui versava la grande città di Kiev. Ma il vecchio cosacco rimase immobile senza parlare, gli occhi fissi a terra, e a nulla valsero a smuoverlo le parole del Principe, né i ricchi doni che gli promise in cambio del suo aiuto.

Di fronte alle pressanti ma inutili suppliche del Principe Vladimir intervenne la Principessa Apraksija dicendo: "Non farlo, Ilya, né per il Principe né per me. Non farlo per la grande città di Kiev, non per le chiese e i monasteri. Ma fallo per la terra russa, per la fede ortodossa. Fallo per le vedove, gli orfani e i poveri."

Si scosse allora il vecchio cosacco: "Sì. Io andrò a combattere per la fede ortodossa, e per la terra russa, e per le vedove, gli orfani e i poveri. Andrò anche per te, onesta principessa Apraksija. Ma sappi che per quel cane di Vladimir, non uscirei nemmeno dalla fossa."

Emerso dopo vent'anni alla luce del sole, Ilya scrutò lontano nel campo aperto e, per la prima volta, sentì la paura nel cuore. L'esercito di Kalin-zar si stendeva sterminato dinanzi alla grande città di Kiev, e non si riusciva neppure a stimare il numero dei soldati. Il vecchio cosacco comprese che difficilmente, da solo, avrebbe potuto farcela, e decise di prendere tempo. Mandò un ambasciatore da Kalin-zar, chiedendogli di concedere tre giorni alla grande città di Kiev, affinché tutti i suoi abitanti si preparassero a morire cristianamente. Ilya sfruttò questi tre giorni di tempo per uscire dalla città alla ricerca dei valenti bogatyri, ma solo al tramonto del terzo giorno riuscì a trovare un accampamento dei bogatyri.

Il loro capo era l'anziano Samson Koljvanovič il quale ricevette Ilya con gioia, ma, quando questi gli narrò del pericolo che correva la grande città di Kiev, Samson scosse il capo. "Caro vecchio cosacco Ilya Muromets! Certo ne hai di coraggio, a venire a chiedere aiuto per conto del Principe Vladimir, dopo tutto quello che lui ha fatto a te e a noi. Il Principe ascolta solo i suoi nobili e ci ha tenuto lontani da Kiev per vent'anni. Perciò noi non selleremo i nostri cavalli e non difenderemo la grande città di Kiev, né la chiesa della madre di Dio. Non difenderemo la principessa Apraksija, né il Principe Vladimir."

Fallita l'impresa di convincere i suoi vecchi compagni a difendere Kiev, Ilya tornò solo alla grande città. I tre giorni erano ormai scaduti e lo sterminato esercito di Kalin-zar già marciava verso le mura di Kiev. Si mise a piangere il vecchio cosacco e spronò il suo cavallo lanciandosi da solo contro i nemici in difesa della Santa Rus'.

Ilya combatté dal mattino fino all'alba del giorno seguente, senza riposarsi e senza mangiare e bere.

Avendo subito grandi perdite, i tatari decisero di tendere ad Ilya un tranello e scavarono una fossa profonda, nascondendola con arbusti e foglie. Presagendo un pericolo, il cavallo del vecchio cosacco si rifiutò di proseguire, ma Ilya lo spronò, vincendo a frustate la sua riluttanza, finché il cavallo purtroppo cadde insieme a lui dritto nella fossa. Subito, i tatari si gettarono su Ilya e, fattolo prigioniero, lo condussero in catene nella tenda di Kalin-zar.

Inaspettatamente, il capo dei tatari accolse Ilya Muromets con onore e rispetto. Ordinò che gli si togliessero le catene e gli offrì un posto alla sua tavola, proprio accanto a lui dicendogli: "Sarai uno dei miei migliori condottieri, se lo desideri, o valoroso Ilya Ivanovič. Avrai il mio tesoro a tua disposizione e non vi saranno onori e ricchezze che non dividerò con te."

Queste attraenti promesse non scalfirono però l'animo russo di Ilya Muromets il quale si alzò ed uccise uno per uno tutti gli uomini di Kalin-zar presenti alla tavola iniziando dall'ambasciatore che i tatari avevano inviato a Kiev.

Intanto il vecchio bogatyr Samson Koljvanovič si pentì di non aver prestato aiuto ad Ilya e chiamò a raccolta tutti i bogatyri compresi Dobrynja Nikitič ed Alëša Popovič. I valorosi guerrieri russi si lanciarono contro i tatari. La battaglia durò tre ore e tre minuti e l'esercito tataro venne completamente annientato e distrutto fino all'ultimo soldato. Ilya staccò la testa di Kalin-zar e la issò su una lancia.

Conclusa vittoriosamente la battaglia con i tatari, Ilya Muromets e tutti gli altri bogatyri si allontanarono tutti insieme verso le montagne e non fecero più ritorno. Così i possenti bogatyri scomparvero dalla Santa Rus'.

Un giorno alle porte della grande città di Kiev si presentò una gigantesca strega guerriera. Il suo nome era Saljgorka. Urlò così forte da farsi sentire fin dentro la reggia del principe Vladimir dicendo che se qualcuno non fosse venuto a misurare la forza con la sua, avrebbe sfondato le porte d'oro di Kiev e sarebbe entrata in città per distruggere le chiese ed uccidere tutti.

Vladimir, spaventato, si rivolse ai suoi bogatyri chiedendo chi di loro volesse misurarsi con la terribile Saljgorka. Per primo uscì dalle mura Alëša Popovič. Ma appena la vide fu preso da grande timore e tornò di corsa nella grande città di Kiev. Dopo di lui andò fuori dalle mura Dobrynja Nikitič, ma appena incrociò lo sguardo della terribile donna cadde a terra in ginocchio dallo spavento e corse subito nella reggia del principe Vladimir.

Infine uscì Ilya Muromets. Il vecchio cosacco, noto a tutta la popolazione per il suo coraggio, non si spaventò e fronteggiò Saljgorka dicendogli con disprezzo: "Eccoti qui cagna della steppa! Fammi vedere che cosa sei capace di fare!" Ilya e Saljgorka impugnarono le armi e si affrontarono in uno scontro furibondo. Il vecchio cosacco riuscì ad abbattere il cavallo della donna e Saljgorka cadde a terra. Allora Ilya l'afferrò per i riccioli biondi, la sollevò più in alto della sua testa e la scagliò al suolo, schiacciandola col suo stivale dalla suola di legno dicendogli: "Non sono pane per i tuoi denti, non tocca a te uccidere Ilya Muromets!" Saljgorka implorò: "Non uccidermi, Ilya Muromets, vecchio cosacco! Risparmiami la vita ed io ti darò oro e argento in quantità!" Ilya le rispose: "Non ho bisogno dell'oro né dell'argento, strega pagana!" Saljgorka disse allora: "Se non hai bisogno dell'oro né dell'argento, ti darò un figlio che sia uguale al padre." Allora Ilya tolse il piede dal corpo della strega e l'aiutò a rialzarsi. Poi Ilya e Saljgorka si allontanarono nella steppa. Solo molto tempo dopo il vecchio cosacco ritornò nella grande città di Kiev.

Un giorno, sulle montagne i bogatyri posero una tenda. C'era dentro il vecchio cosacco Ilya Muromets, e poi c'era Dobrynja Nikitič, e poi ancora il giovane Alëša Popovič. Stavano di guardia ai confini della Santa Rus' (Santa Russia) e vigilavano la bella città di Kiev, in difesa della fede ortodossa, delle chiese di Dio e dei monasteri. Quella mattina Ilya Muromets guardava lontano nell'aperta ampia steppa e vide un giovane ragazzo cavalcare in direzione della grande città di Kiev. Egli scagliava contro il cielo una lancia: con una mano la scagliava con l'altra la riprendeva. Davanti a lui correvano due lupi e teneva sulle spalle due falchi bianchi. Il vecchio cosacco rientrò nella tenda e svegliò i compagni dando l'allarme.

Alëša Popovič uscì di fretta dalla tenda e si lanciò al galoppo all'inseguimento del ragazzo ma per quanto il suo cavallo corresse veloce non riuscì a raggiungerlo. Così tornò indietro dicendo: "Cavalca veloce, il giovane, non gli sono pari, non riesco a stargli dietro."

Allora partì al galoppo Dobrynja Nikitič e raggiunto il giovane, lo superò e fermandosi davanti a lui si tolse il berretto e fece un inchino dicendo: "Salute a te, bravo giovane! Qual è la tua città, quale il paese, chi è tuo padre, chi è tua madre? Dove cavalchi, dove sei diretto?" Il giovane si fermò e rispose: "Vado alla grande città di Kiev, espugnerò la capitale russa, catturerò vivo il gran principe Vladimir e sua moglie Apraksija prenderò per moglie."

Dobrynja spaventato da tale coraggio tornò alla tenda e riferì tutto ad Ilya Muromets il quale si lanciò immediatamente al galoppo raggiungendo il giovane. Il ragazzo fermò il cavallo, allontanò i lupi ed i due falchi bianchi urlando: "Andate via, tornate nei boschi, di voi non ho più bisogno. È arrivato il mio nemico." Il giovane guerriero ed il vecchio cosacco cominciarono così a combattere affrontandosi a cavallo. Poi dopo un po' saltarono contemporaneamente a terra e continuarono a combattere. Ad un certo punto però il braccio destro di Ilya Muromets si intorpidì, gli scivolò anche la gamba sinistra e perdendo l'equilibrio il vecchio cosacco cadde a terra. Il giovane guerriero gli si buttò sul petto, gli aprì la corazza di ferro e trasse il pugnale dalla guaina, ben deciso a strappargli dal petto il cuore.

Ilya Muromets rivolgendosi al cielo implorò: "Salvami o Vergine madre di Dio! Stetti per anni ed anni in difesa della fede ortodossa, salvami adesso!" Subito la forza del vecchio cosacco aumentò e così riuscì a togliersi dal petto il giovane guerriero e riuscì a gettarlo al suolo schiacciandolo sotto di lui. Trasse il pugnale dalla guaina, ma invece di strappargli dal petto il cuore come stava per fare il giovane guerriero, Ilya gli chiese: "O tu, robusto giovane! Di quale città sei, di quale paese? Chi è tuo padre, chi è tua madre? Con quale nome vieni chiamato?"

Il giovane rispose sprezzante: "Quando ero su di te, non t'ho chiesto la stirpe, la razza; ti avrei tagliato il petto e ti avrei estirpato il cuore!". Ilya per nulla turbato ripeté la domanda: "O tu, robusto giovane! Di quale città sei, di quale paese? Chi è tuo padre, chi è tua madre? Con quale nome vieni chiamato?" Il giovane guerriero rispose: "Vengo dal mare, dalla casa di Saljgorka; io sono suo figlio, Sokol'nik."

Allora Ilya si alzò ed abbracciò il giovane e lo baciò sulle labbra. Il vecchio cosacco si pacificò con suo figlio. Lo condusse quindi nella bianca tenda e lo trattò con tutti gli onori. Ma quella notte, mentre tutti dormivano all'aria aperta, Sokol'nik si svegliò, muovendosi lentamente ed in silenzio prese la lancia, si mise dritto sopra il petto di Ilya che stava profondamente dormendo e con tutta la forza che aveva la abbassò per trafiggere il petto del vecchio cosacco. Ma la punta della lancia colpì la croce che Ilya teneva sul petto. Il vecchio cosacco si svegliò, afferrò Sokol'nik tra le mani, lo scaraventò in alto con tutta la sua forza. Sokol'nik ricadde a terra violentemente e morì sul colpo.

La vicenda che ho raccontato prima, "Ilya Muromets contro Saljgorka", ed in particolare il drammatico incontro e scontro con il proprio figlio, turbò moltissimo il valoroso Ilya, il quale dopo molti anni di battaglie in difesa della Santa Rus' e della fede ortodossa, ormai vecchio, decise di partire per il suo ultimo viaggio.

Dopo un lungo cammino giunse ad un incrocio da cui si dipartivano tre strade e sulla pietra infissa nel terreno stavano incise queste parole: "Ad andare per la prima strada si viene uccisi. Ad andare per la seconda ci si sposa. Ad andare per la terza si diviene ricchi."

Ilya si fermò davanti alla pietra e si mise a riflettere. "Ma perché andare per quella strada e diventare ricco. Non ho una giovane moglie, qualcuno per cui tenere tesori, per cui indossare abiti variopinti. E perché andare per quella nella quale ci si sposa? Ormai è passata la mia giovinezza. Prenderne una giovane, le andrebbe dietro un altro; prenderne una vecchia, se ne starebbe tutto il tempo a riscaldarsi vicino al fuoco. Dovrò dunque andare per la strada in cui si viene uccisi? Certo che io ho vissuto su questo mondo per tanto tempo e forse è giunta la mia ora!"

Ilya intraprese allora la strada in cui si viene uccisi. Dopo lunghe cavalcate per terre desolate si imbatté nei briganti che infestavano quella zona. Erano quarantamila briganti che appena lo videro partirono per assalirlo. Ilya vedendoli non indietreggiò ed urlò loro: "Ehi voi! Che state facendo? Vi rendete conto che state assalendo un vecchio che non ha con sé ricchezze, tesori, pietre preziose!" Ma i briganti imperterriti lo assalirono comunque.

Ilya allora li affrontò uno per uno massacrandoli tutti non risparmiandone neanche uno. Quindi tornò all'incrocio e scrisse sulla pietra: "Questa strada è ripulita".

Ilya allora prese la strada che conduceva al matrimonio e giunse in un palazzo bianco, dove una bellissima fanciulla lo invitò a entrare. Ilya s'inchinò, ed ella lo prese per le mani lo fece sedere al tavolo e gli chiese: "Dimmi, chi sei, di quale paese, di quale razza? Chi è tuo padre, chi è tua madre?" Ilya sospettoso rispose: "Perché mi domandi questo, o fanciulla. Adesso io sono stanco, sono stanco e voglio riposare." Allora la bellissima ragazza lo condusse in una camera e gli disse di stendersi sul quel bellissimo letto dove avrebbe potuto riposare in pace. Ma Ilya sospettò che dietro tale smisurata gentilezza potesse celarsi una trappola e quindi afferrò la ragazza e la lanciò sul letto dicendo: "Va' prima tu sul letto, fanciulla!" Ilya aveva avuto un giusto sospetto, infatti si aprì una botola nel pavimento e la ragazza cadde nei sotterranei del palazzo. Ilya fece uscire tutti i bogatyri che l'affascinate ragazza aveva preso prigionieri e lasciò lei nel profondo sotterraneo.

Il vecchio cosacco tornò dunque indietro e scrisse sulla pietra: "Questa strada è ripulita".

Infine Ilya prese la terza strada, quella per cui si diviene ricchi e nella steppa trovò scrigni colmi di oro e di argento e di pietre preziose. Ilya spartì l'oro e l'argento ai mendicanti, agli orfani e alle vedove. E quindi tornò indietro e poté scrivere sulla pietra: "Questa strada è ripulita".


Luca Leonardo D'Agostini

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